I quattro “birbanti” del liceo Parini

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DI MASSIMO FINI

I ragazzi del Parini vanno certamente puniti. E con la severità che meritano per il danno che hanno provocato sia pur al di là delle loro intenzioni. Non posso però essere così ipocrita e insincero con me stesso da negare che provo molta simpatia per questi ragazzi. Perché quelle stesse cose, alla loro età, a scuola, le ho fatte, più o meno anch’io, pur se con conseguenze meno catastrofiche.
Al Berchet con un altro ragazzo, Piero Derenzio, entrambi digiuni di greco (il gran terrore del classico) in modo indecente, smontavamo gli ultimi banchi dove il professore, Zanco, ci isolava durante i compiti in classe, facendo davanti a noi terra bruciata perché non potessimo copiare dai compagni. A Derenzio il prof dava 1, a me 1- perché non avevo nemmeno fatto la fatica di tentare di tradurre e avevo copiato da lui. Stufi di questo andazzo Piero ed io svitammo i bulloni dei sedili degli ultimi banchi per cui quando il professore ci chiese di accomodarci lì gli facemmo notare che era impossibile perché ignoti vandali avevano sabotato i sedili.
Ripetemmo lo scherzetto un paio di volte finché, ovviamente, fummo sgamati e giustamente sospesi.

Piero Derenzio è diventato uno stimato professionista, quanto a me si può pensare quello che si vuole, ma in quarant’anni di vita adulta non ho mai violato nemmeno un regolamento comunale. Voglio dire, con questo, che non bisogna farne una tragedia e trattare gli studenti del Parini come delle «anime perdute» («Ci si può buttare via così a 17 anni?»; «Ne porteranno i segni per tutta la vita», eccetera) perché di ragazzate del genere è fatta la storia della scuola.

Un ribellismo generico nei confronti del mondo adulto e dell’Autorità è tipico dell’adolescenza ed è bene che ci sia perché fa parte dell’educazione sentimentale» di un giovane, del suo apprendimento per diventare adulto («Non si può essere socialdemocratici a vent’anni» si diceva una volta). Temo molto di più le «acque chete».

In questo caso siamo di fronte a un ribellismo puramente esistenziale che non ha alcuna pretesa politica né, tantomeno, rivoluzionaria ed è quindi sostanzialmente innocuo. Mi sarebbe piaciuto che, a suo tempo, lo stesso viso dell’armi che oggi si ostenta verso questi ragazzi fosse stato mostrato ai sessantottini che non allagavano maldestramente licei, ma li occupavano, sfasciavano consapevolmente vetrine e crani e andavano in giro urlando «fascista, basco nero, il tuo posto è al cimitero» fra la compiaciuta ammirazione dei loro genitori e nella complicità della classe dirigente.

Allora non ci fu misura nell’indulgenza, così come oggi non c’è, mi pare, nella condanna.

Masimo Fini
Fonte:www.quotidiano.net
23.10.04

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