I GIOVANI NELLA GIUNGLA DEL CINISMO

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IL BUCANIERE

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Sull’onda di alcuni fatti di cronaca nera – culminati con la misteriosa morte di Domenico Maurantonio, precipitato in circostanze poco chiare dalla finestra di un camera d’albergo mentre si trovava in una gita liceale a Milano – rispunta in maniera carsica il tema del disagio giovanile.

Se guardiamo con attenzione alle trasmissioni televisive e agli articoli di giornale, troviamo sempre una ricorrenza curiosa: il continuo e pressante tentativo di porre la questione in canoni ben predefiniti, in un “format” preconfezionato. Si parla di bulli; si tira in ballo Internet; ovviamente si accusano le famiglie sfilacciate; gli insegnanti distratti; e, in generale, tutto viene ricondotto al declino della cultura.

Queste spiegazioni, a mio avviso, non sono convincenti, seppur esse – prese singolarmente – siano certamente degne di dibattito e anche affascinanti. Tuttavia, mi pare che gran parte degli osservatori sia riottosa ad ammettere una scottante verità: il disagio giovanile non è semplicemente una questione di bullismo, di annosa dipendenza dalle nuove tecnologie o di declino della figura genitoriale.

E se il disagio giovanile fosse un segnale di qualcosa di profonda che non va? Questa domanda mi girava nella testa mentre accostavo pezzi di realtà tra loro apparentemente slegati: gli scontri di Milano in occasione dell’inaugurazione dell’Expo, l’avanzata dell’Isis in Medio Oriente, l’affermazione di Podemos in Spagna, l’altissimo voto giovanile in Polonia per un candidato conservatore e anti-Ue. Tutti questi macro-fenomeni, politici o para-politici, vedono la partecipazione di masse giovanili urbane, in una proporzione compresa tra le migliaia e le centinaia di migliaia, generalmente dotate di una cultura di livello universitaria o almeno un diploma.

Tutte queste persone, pur diversissime tra di loro, esprimono una tendenza comune: il rifiuto del “mondo d’oggi” (una definizione tanto generica quanto significativa). Tanti giovani ci stanno dicendo, anche tramite azioni orribili come quelle perpetrate da Isis, che questo mondo gli fa schifo. Dove possono votare, lo fanno con il voto “anti-sistema” o con l’astensione dal voto; dove non possono, lo fanno con l’estremismo religioso e i suoi mortiferi derivati.

Quando banalizziamo il disagio dei giovani, tirando fuori generici discorsi sulla morale perduta, lo facciamo per non vedere la realtà che ci circonda. Nella condizione attuale, un giovane normale (cioè che non abbia la sorte di nascere in una famiglia facoltosa) sa che la sua vita sarà difficile, che la lotta per la sopravvivenza non sarà un modo di dire, che la vita odierna è pura danza sul baratro. Se mi si concede una citazione dalla cultura pop, l’ultima canzone di Fedez ha un verso significativo,“Se chiudi una porta, si apre un burrone”, che spiega molto sul cinismo che questa generazione ha dovuto subire. Naturalmente, nascere in Europa o in Africa non è la stessa cosa, il tenore di vita medio è ben diverso; tuttavia, come dire, il rumore di sottofondo delle loro vite è il medesimo. I giovani, quelli più colti almeno, sanno di essere in gabbia – seppur per molti occidentali sia ancora una gabbia dorata, mentre tanti giovani africani sono letteralmente chiusi in gabbia dai trafficanti di migranti che organizzano i “viaggi della speranza” verso Lampedusa.

Se il quadro è questo, tutto risulta chiaro: i giovani vivono in un villaggio globale che in realtà è diventato una giungla dove il più forte mangia il più debole. La pedagogia della crisi finanziaria, atroce ma utile, gli ha insegnato che le sofferenze sono riservate ai poveri e agli “sfigati” (parola che abbonda nello slang generazionale), mentre i ricchi si salvano sempre e possono continuare imperterriti la loro esistenza fatta di lussi e agi. Hanno davvero l’impressione – del resto gli hanno insegnato fin da piccoli che “non c’è alternativa a questo sistema” – che il mondo sia sempre stato così: sono vissuti in un contesto arido, dove l’unica legge universalmente accettata è quella dei soldi, con dei governi – nazionali e sovranazionali – che li hanno presi in giro promettendogli un futuro radioso di cui non vedono traccia. Il mondo capitalista, dai grattacieli di Wall Street agli slum di Jakarta, passando per i vicoli di Pechino, propone la stessa ricetta per i giovani: sedurli e ingolosirli con la pubblicità, renderli cinici con una politica lontana e affarista, impaurirli con la minaccia “ che le cose potrebbero andar peggio”.

Premesse di queste tipo non possono che far germogliare, per dirla alla Nietzsche, le uova di basilisco dell’invidia, della disaffezione e della paura. La prevalenza di questi sentimenti la riscontro ogni giorno parlando con i miei coetanei e ascoltandoli mentre chiacchierano sui tram o davanti all’università – per non parlare ovviamente dei social network, il regno del livore e della rabbia repressa. La ricerca del capro espiatorio è una costante: può essere il compagno di classe solitario, oppure la maestra, gli zingari, le minoranze religiose, i tifosi di un’altra squadra.

Certo, tanti di loro sono ignoranti, davvero. Non conoscono le basi della scrittura, non leggono, non s’informano. Ma, in fondo, parliamo di una delle generazioni più istruite della storia umana, l’ignoranza c’è ma è in minoranza: l’impressione è questo sia lo “spirito dei tempi” a cui i giovani si adattano. Sono cresciuti in un tempo in cui non c’è spazio per la comprensione della complessità e dell’alterità, bisogna semplicemente competere per sopravvivere fregandosene di tutto il resto. Nonostante l’eterna illusione di modernità che ci danno gli oggetti tecnologici di cui ci circondiamo, stiamo regredendo ad una primitiva selezione della specie. Se sei cinico e ti adatti alle regole della giungla, bene. Altrimenti, fuori.

Il Bucaniere

Fonte: Comedonchisciotte.org

01.06.2015

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