GUERRA PURA A TEHRAN

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DI PEPE ESCOBAR

asiatimes.com

Ho appena trascorso una frenetica settimana a Teheran. Prima della partenza, presi una decisione consapevole: nello zaino soltanto un libro. Massima concentrazione. Finii per scegliere Pure War, ristampa del 2008 di Semiotext di Los Angeles del 1983, un classico di Paul Virilio che avevo preso qualche giorno fa al rinnovato Foyles di Londra.

Per un corrispondente itinerante, andare in Iran è sempre un fatto eccezionale. Per ottenere un visto/stampa di solito ci vogliono mesi. Questo era il mio sesto viaggio – e non avevo il visto. Solo un numero, collegato ad un visto da ottenere in aeroporto.

Fino all’ultimo minuto, ho pensato di essere espulso dall’ Imam Khomeini International e di far ritorno ad Abu Dhabi, che ora fa finta di voler bombardare Il Califfo. Poi, un piccolo miracolo: una sala VIP, un visto in dieci minuti e nel giro di poco tempo stavo già fotografando una Teheran stranamente deserta all’alba di Venerdì, oltre la psichedelica stazione spaziale rivestita di verde che è il santuario dell’Imam Khomeini.

Perché Virilio? Perché è stato il primo a concettualizzare che con l’esplosione della guerra asimmetrica, la Guerra Totale si era trasformata in Locale – ma su scala globale. Ho ampliato il tema nel mio libro del 2007 – Globalistan – e nei miei scritti. Washington e Tel Aviv hanno minacciato per anni di bombardare l’Iran. Virilio è stato il primo ad affermare che “la pace” si limita ad estendere la guerra in modi diversi.

Maggio 1968 come teatro della mente – un teatro di fantasia. Quando la società potrebbe essere un’opera d’arte, una rappresentazione, con la folla in strada come coro. L’ultima reazione creativa al consumismo. “Potere all’immaginazione”.

Una bella mattina di sole di fronte alla sede del ministero degli Esteri. Una mostra / installazione della guerra Iran/Iraq – una guerra “imposta”, com’è ben noto. Un campo minato ricostruito, una mappa delle nazioni che hanno armato Saddam, immagini di giovani combattenti / martiri non più vecchi di quattordici anni. Un doloroso teatro di ricordi. Alla fine del 1978, Teheran ha avuto come coro nelle sue strade anche il caos – contro lo Scià. Khomeini fu una reazione al consumismo; ma era lui “l’immaginazione al potere”? E poi, tutto è stato inghiottito in un delirio di crudeltà – la tragedia di una guerra “imposta”.

La guerra, in senso giornalistico, è delinquenza nazionale elevata alla potenza di un conflitto estremamente importante – e ‘l’equivalente dei “tumulti”, come li chiamavano le società antiche. Non possiamo più neanche parlare di guerra, è pura delinquenza interstatale. E’ terrorismo di Stato.

A Teheran, i miei ospiti immensamente gentili erano gli organizzatori del New Horizon: la conferenza internazionale di pensatori indipendenti. Dopo diversi colpi di scena, ha finito per restarne coinvolto anche il Ministero degli Esteri. La conferenza ha adottato un’importante risoluzione che condanna ISIS / ISIL / Califfo, il sionismo, l’islamofobia, il settarismo, il cieco sostegno di Washington a qualsiasi cosa Israele scateni contro la Palestina; e la delinquenza nazionale d’Israele, o terrorismo di Stato. La conferenza ha anche fatto appello alla cooperazione e alla comprensione tra Occidente e Islam: che implica una lotta contro la delinquenza interstatale.

La miglior difesa è l’attacco; e per attaccare è necessario disporre di alcune idee; in questo momento non ci sono idee. L’immaginazione oggi è l’immagine, e l’immagine è al potere. Non c’è per niente fantasia, c’è solo immagine.

Devo abbandonare una fantastica cena tradizionale persiana all’aperto per andare negli studi televisivi della PressTV per un dibattito su ISIS/ISIL/Daesh con il noto neo-con Daniel Pipes. Sorprendentemente, ci ritroviamo d’accordo più di quanto potessimo immaginare. Beh, non è difficile considerare una strategia la “non-strategia” dell’attuale amministrazione Obama; un’immagine (bombe e Tomahawk) che combatte un’altra immagine (lo show molto ben curato del Califfo sulle decapitazioni).

Nel frattempo, il discorso del Presidente Hassan Rouhani alle Nazioni Unite ha continuato a far furore; “Degli estremisti minacciano i nostri vicini, usano la violenza e spargono sangue”. “E’ la gente nella regione che può fare la differenza nella lotta con il Califfo”. Rohuani non si stava affatto riferendo ai jet made in USA che pare siano stati spiegati dalla coalizione del Gulf Cooperation Council, quell’agglomerato di vigliacchi sconsiderati: la Casa di Saud, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain e il membro associato la Giordania.

Da tutte le mie conversazioni emerge un consenso: il vuoto di potere successivo alla rapida presa di potere e all’occupazione del 2013 ha provocato l’ascesa in Iraq di al-Qaeda e poi di ISIS/ISIL/Daesh. E anche se Teheran e Washington hanno un po’ flirtato su una misura congiunta contro il Califfo, Washington ha poi negato la sua volontà di collaborare e Teheran l’ha subito respinta.

Eppure, quello che Rouhani ha detto a New York ha continuato ad echeggiare giorno dopo giorno, in ogni luogo di Teheran: fornire le armi al “nuovo” Esercito Siriano Libero in Arabia Saudita, in primo luogo, equivale a “addestrare un altro gruppo di terroristi e spedirli a fare la guerra in Siria”. Inoltre, la “strategia” di Washington sta ulteriormente rafforzando quei dittatori estremisti Sunniti che da sempre non fanno altro che demonizzare gli Sciiti.

E poi, ecco che entra in scena anche l’altro Califfo “non-ufficiale”, il neo-Ottomano Recep Tayyip Erdogan: non ci sarebbe alcun uso da parte della “coalizione” del “territorio” o delle “basi militari” Turche se l’obiettivo non comprendesse anche il capovolgimento del regime di Bashar al-Assad”. Chi ha bisogno del Califfo Erdogan per combattere il Califfo Ibrahim? Il Generale Maggiore Qassem Suleimani, capo delle Forze Iraniane Quds, ce la farebbe anche da solo; la sua foto, accanto ai peshmergas Curdi, ha avuto un effetto dirompente in tutto l’Iran quando è stata pubblicata da IRINN.

Il cinema ci mostra la nostra coscienza. La nostra coscienza è un effetto del montaggio – un collage. Collage, taglio, ritaglio. Questo spiega molto bene quello che Jean-Francois Lyotard chiama la scomparsa della grande narrative. Una società senza classi, la giustizia sociale: nessuno crede più in queste cose. Siamo in un’epoca di micro-narrativa, l’arte del frammento.

Laleh Park, una gioia per gli occhi: un parco persiano dove scorrazzano gatti persiani randagi, giocatori di pallavolo e di badminton e famiglie con carrozzine. E’ qui che Arash Darya-Bandari, straordinario medievalista con molti anni trascorsi nella Bay Area, mi dà un corso accelerato sui punti più alti di una delle più grandi narrative superstiti: Sciismo e il concetto di Khomeini del velayat-e-faqih. In termini puri di non-guerra, significava giustizia sociale. Ed è per questo che rimaneva incomprensibile al turbo-capitalismo.

Il parco come Agorà, un giardino di piaceri intellettuali. Quasi tutte le mie migliori conversazioni si sono svolte a piedi attraversando o intorno a Laleh Park. E poi, una notte, sono andato a fare una passeggiata solitaria, trovando lì un film/spettacolo rivoluzionario su un palco improvvisato, con tanto di trincea e mortai. Un pubblico di un paio di uomini solitari e alcune famiglie sparse. Il cinema che mantiene viva la coscienza della guerra Iran-Iraq.

La fine della deterrenza corrisponde all’inizio della guerra dell’informazione, un conflitto dove la superiorità delle informazioni è più importante delle capacità di infliggere danni.

La conferenza New Horizon non poteva che riguardare la guerra d’informazione. Il tema generale era la lotta contro la lobby sionista. Tutti sanno che cos’è una lobby e come funziona, soprattutto negli Stati Uniti. Eppure, nei miei brevi interventi con il Ministero degli Esteri e nel corso della conferenza, ho preferito concentrarmi sulla sua portata globale in termini finanziari/economici. Alias: denaro. Questo è l’unico modo per penetrare la dura corazza, apparentemente invincibile, del pubblico.

Un altro volto della guerra d’informazione. Ovunque io sia andato, ho avuto il piacere di vedere come il libro di Gareth Porter – Manufactured Crisis: The Untold Story of the Iranian Nuclear Scare – (Una crisi confezionata: la vera storia della paura del nucleare iraniano) sia stato accolto come una benedizione. Il libro è stato tradotto in Farsi dalla Fars News Agency, in soli due mesi e con cura meticolosa, e poi lanciato in modo semplice.

E’ destinato a diventare un best-seller – poichè dimostra, in conclusione, ad esempio, come il “complotto” Iraniano di armare dei missili a testata nucleare sia stato totalmente costruito dai terroristi del Mujahedin-e Khalq (MEK) e poi trasmesso dal Mossad all’IAEA (AIEA). Forte il contrasto tra la calda accoglienza mostrata a Gareth a Teherean e il gelo riscontrato negli Stati Uniti – è un ennesimo riflesso degli “specchi nel deserto” che durano da 35 anni tra Washington e Teheran.

Prevedibilmente, i soliti idioti intellettuali statunitensi hanno definito la conferenza un “festival dell’odio anti-semita”. Gareth è stato descritto come “un giornalista anti-israeliano” ed io “un giornalista brasiliano anti-israeliano”. E’ chiaro che il girone dantesco dell’idiozia non ha molta familiarità con il concetto di “politica estera”.

Lo spazio non è più nella geografia – è nell’elettronica. L’unità la troviamo nei terminali. E allo stesso momento è nei posti di comando, nei quartieri generali delle multinazionali, nelle torri di controlli, ecc. La politica è sempre meno nello spazio fisico e sempre più negli spazi temporali dei sistemi amministrati dalle varie tecnologie. C’e’ uno spostamento dalla geo- alla crono-politica: la distribuzione del territorio diventa distribuzione nel tempo. La distribuzione del territorio non va più di moda, è quasi estinta.

E’ il momento di andare al bazaar – una delle ultime distribuzioni spaziali del territorio. All’entrata principale c’è un mucchio di gente con calcolatrici e pezzi di carta in mano, impegnati in scambi forsennati. Insieme a Roberto Quaglia, autore di scritti audaci che hanno drasticamente ridimensionato la saga dell’11/9, scherziamo dicendo che sembra di assistere a una tratta di schiavi. Non lo è affatto, questo è nientemeno che il mercato dei futures in Rial. Con le forti fluttuazioni della moneta nazionale causate dalle sanzioni, il Rial ha perso tre quarti del suo valore nel corso degli ultimi anni, e la possibilità di specularci sopra è irresistibile…

Incontriamo la bella Zahra, vende asciugamani fatti a mano, ma in verità è una fotografa di moda all’avanguardia. E poi il rituale che da sempre attendo con ansia, la contrattazione per il tappeto tribale perfetto. In questo caso, un Zaghol del 1930, impossibile da riprodurre perché i nomadi locali stanno diventando stanziali e non ci sono nuovi tessitori. Un caso di distribuzione del territorio che diventa distribuzione del tempo (perduto).

I Faraoni, i Romani, i Greci erano tutti dei bravi geo-metri. Era il tempo della geo-politica. Noi, oggi, ne siamo ben lontani, viviamo nell’era delle crono-politica. Organizzazione, proibizione, sospensione, ordine, potere, strutturazione e assoggettamento fanno tutti parte del regno della temporalità. Ed è qui che dovrebbe esserci anche la resistenza.

Il che ci porta, nuovamente, alle sanzioni. Molto è stato fatto di quello che Rouhani ha detto al presidente austriaco Hans Fisher alle Nazioni Unite – cioè che l’Iran era disposto a fornire il gas all’Unione europea. Ma questo non accadrà domani; l’ultima cifra che avevo su Teheran, anni fa, è che il paese avesse bisogno di almeno 200 miliardi di dollari statunitensi per ammodernare le proprie infrastrutture energetiche. Rouhani è stato costretto a chiarirlo nuovamente. E Teheran non si svenderà tanto facilmente all’Unione Europea.

La fine delle sanzioni è solo un fatto di crono-politica.

Siamo entrati in un’era di terrorismo diffuso. Così come parliamo di minore o maggiore delinquenza, credo che dovremmo parlare anche di minore o maggiore terrorismo. … I complessi militari – industriali – scientifici continuano a funzionare a loro modo e a un loro proprio ritmo. E’ un motore impazzito che non si fermerà.

Teheran ha sempre bene a mente questo motore impazzito. Sono quasi “rapito” da una riunione e mi ritrovo in un piccolo think-tank con un’incredibile mappa sulla parte che indica in dettaglio tutti i centri di comando degli Stati Uniti. Tutti gli studiosi sono ansiosi di sapere che cosa ha in mente l’Impero contro l’Iran…

Una visita al “covo di spie” – l’ex Ambasciata statunitense – è immancabile. Un’apoteosi di tecnologia degli anni ’70 – preservata in maniera impeccabile come in nessun altro luogo del mondo: impianti radio, proto-calcolatori, telefoni, telex, rolodex, una “zecca” per la creazione di passaporti falsi. Nessuna sorpresa che Washington non si sia mai ripresa dalla perdita di questo prezioso luogo di osservazione sull’intero Medio Oriente. Potrà mai questo edificio tornare ad essere una normale “Ambasciata Americana”? Qualcuno lo dovrebbe chiedere al rude Hamlet che per poco non diventava un dinamitardo pazzo.

Oggi è l’aeroporto la nuova città. Le persone non sono più cittadini, sono passeggeri in transito. Non sono più una società di nomadi, nel senso delle grandi migrazioni del passato, ma una società concentrata su un mezzo di trasporto. Il nuovo capitale è …una città a un crocevia di varie opzioni temporali, in altre parole, di velocità.

L’ultimo giorno doveva contenere un’epifania. L’ho aspettata tutto il giorno – tra un’intervista e l’altra e con un favoloso pranzo indiano a nord di Teheran con Gareth e il dottor Marandi della Facoltà di Studi del Mondo dell’Università di Teheran: un banchetto ideale Platonico di convivialità e d’intelletto. Di notte, poi, una folle corsa attraverso la città fino santuario Rey: quartiere operaio, la prima pietra della città di Teheran, uno dei principali luoghi di pellegrinaggio in Iran insieme a Qom e Mashhad.

L’illuminazione estetica incontra un sovraccarico sensoriale che incontra un’urgenza spirituale – con una marcia in più, visto che sono forse l’unico occidentale nei paraggi. Decine di migliaia di pellegrini che onorano la morte del genero dell’Imam Ali. Cos’era quella cosa sulla fine delle grandi narrative? Non è così nel cuore dell’Iran. E poi tutto finisce, come in un sogno di Coleridge; sono stato io a sognare questo vago interludio Persiano o era Teheran che sognava di me? Torno alla mia modalità default – un viaggiatore in transito, con tappetino da nomade, zaino in spalla e carta d’imbarco in mano. Prossima fermata: una città senza volto ad un incrocio tra strade a scorrimento rapido.


Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007), Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge (Nimble Books, 2007), e di Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009). 

Lo si può raggiungere a questo indirizzo: [email protected].



Fonte: www.atimes.com

Link: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MID-01-081014.html

8.10.2014

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63

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