GLI USA HANNO PERSO IL FRONTE MEDIORIENTALE

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bandiera di Jabhat-al‑Nusra

DI STEFANO D’ANDREA

Appello al Popolo

Sommario: 1. La versione ufficiale semplificata e distorta; 2. L’ISIS e Al Qaeda; 3. L’ISIS e il partito Baath clandestino di Izzat Ibrahim Al Douri; 4. Scenari; 5. Il ruolo dei Curdi; 6. Il ruolo degli Stati Uniti.

1. La versione ufficiale semplificata e distorta.

I media ufficiali diffondono la notizia che l’ISIS o ISIL, che spesso affermano superficialmente essere affiliato ad Al Qaeda, rientrato in gran parte dalla Siria, avrebbe conquistato importanti città e province irachene.

Gli “antimperialisti” nostrani (antisionisti e anti-statunitensi anziché italiani patriottici) e stranieri, i quali, con il chiaro ruolo di tifosi-spettatori, in medio oriente affidano il loro desiderio di indebolimento degli Stati Uniti e di Israele al triangolo Iran-Assad-Hezbollah (ora con l’appendice iraniana Al-Maliki), si affannano a diffondere e sostenere la versione, come sempre semplificatissima e quindi falsa, propagata dei media ufficiali, osservando che l’ISIS sarebbe un fantoccio statunitense (“si guardi attentamente come la BBC copre gli avvenimenti in Iraq e saprete chi c’è dietro tutto ciò”).

In realtà le cose sono un po’ più complesse. Molto più complesse.

2. L’ISIS e Al Qaeda

Al Qaeda è ormai da molto tempo una sigla, che designa piu’ che un network, un centro strategico dotato, fino ad ora, di una notevole autorevolezza nella galassia dell’internazionale islamista e quindi di una capacità di comando. Questo centro strategico è sostenitore da sempre di un salafismo anti-Saud, perché nasce proprio in risposta al tradimento dei Saud.

Infatti, in occasione della prima guerra del Golfo, i Saud anziché affidare la difesa dell’Arabia Saudita da una possibile invasione dell’Iraq ad Osama Bin Laden – che, a quel tempo, ospite alla corte dei Saud, aveva ingiunto al ministro degli esteri di non consentire l’istallazione di basi statunitensi in Aarabia Saudita e di affidare la difesa a se stesso, mettendo a sua disposizione un esercito di 60.000 uomini – preferirono consentire l’installazione di basi militari statunitensi in Arabia Saudita. Oggi nella galassia comunemente denominata Al Qaeda si distinguono “il nucleo originale di Al Qaeda” “gruppi affiliati”, “gruppi alleati” e “reti che sono ideologicamente ispirate da al Qaeda”.

L’obiettivo finale di questo centro strategico, finora autorevole, della internazionale islamista è la ricostituzione del Califfato, composto da emirati aperti, appunto, al Califfato. In questo disegno i Saud non avrebbero il loro Emirato ma dovrebbero essere rovesciati.

Tuttavia, quando si lancia una guerra secolare come quella promossa dal gruppo di Osama Bin Laden e Al Zawahiri, non tutti gli avvenimenti vanno come si vorrebbe. In particolare, può accadere e nel nostro caso è accaduto, che alcune formazioni combattano per anni, ottengano vittorie o pareggi contro potenti eserciti stranieri, dimostrino di avere capacità militari, di reperimento dei fondi, di saper attrarre consenso e giovani guerrieri volontari, di generare capi carismatici. E questi capi o comunque gli alti comandi del gruppo, possono avere una strategia diversa da quella di chi, inizialmente, ha lanciato la guerra secolare per la ricostituzione del Califfato. E’ ciò che è accaduto all’ISIS, un tempo ISI, ossia Stato Islamico in Iraq.

Lo Stato islamico in Iraq nasce nel 2004 con il nome di “Jama’at al-Tawhid wal-Jihad”, “organizzazione del monoteismo e del Jihad”. L’aggressione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e la guerra contro la resistenza baathista è l’occasione che fornisce all’internazionale islamista per la ricostituzione del Califfato la possibilità di partecipare a una seconda importante guerra (dopo quella afghana) e di attrarre nelle sue fila giovani islamisti da ogni parte del mondo.

Inizialmente la resistenza irachena è essenzialmente baahtista. La resistenza infatti era stata preparata, anche con ingenti immagazzinamenti di armi, già nel 2000 dalla direzione del partito Baath. Ancora nel settembre del 2005, chi era ben informato sullo svolgimento della guerra di liberazione, dichiarava : “Al momento attuale abbiamo molti gruppi differenti che lottano contro l’occupazione coloniale americana, e queste organizzazioni hanno caratteri ideologici diversi e comprendono forze progressiste, gruppi religiosi, nazionalisti, ma la organizzazione principale resta quella del partito Baath. Quanto ai legami di queste organizzazioni tra loro, posso dire che vi è una forte coordinazione e collaborazione.
Se la resistenza è stata preparata, come si spiega la proliferazione dei gruppi religiosi islamici?
Durante una guerra di liberazione è molto importante che nella lotta contro l’occupazione vengano mobilitate tutte le forze. Tutte le esperienze hanno mostrato che quando si tratta della liberazione di un paese tutti i tipi di ideologie e di indirizzi vi prendono parte; per esempio, nel Vietnam, contro l’occupazione degli americani sono scesi in campo i buddisti. Quanto all’Iraq, noi stiamo lottando contro il più pericoloso colonialismo mai visto nella storia dell’umanità, e poiché non abbiamo aiuti dall’esterno, le circostanze hanno obbligato tutte le forze ad unirsi fra loro per garantire la liberazione dell’Iraq. Le organizzazioni islamiche stanno lottando fianco a fianco con le forze progressiste e con quelle laiche, e questo è quantomai importante e necessario per cacciare l’occupazione imperialista
”. La stessa fonte, tuttavia, in quella medesima occasione, ammetteva che l’arma strategica della resistenza irachena, quella che stava sancendo la vittoria della resistenza medesima, erano gli attacchi suicidi: “La faccenda dei combattenti suicidi non si limita alle organizzazioni islamiche; anche organizzazioni del partito Baath effettuano delle operazioni suicide. Questo tipo di azione è l’arma più efficiente nelle mani della resistenza irachena: essa costituisce l’arma irachena di distruzione di massa, in grado di agire come deterrente contro le forze americane che occupano il paese e di sconfiggerle. La resistenza irachena impiega armi semplici, mentre i suoi avversari hanno armamento altamente sofisticato, come caccia a reazione, carri armati, missili, e tecnologia moderna. Pertanto, le uniche armi che ha la resistenza per neutralizzare tale tipo di superiorità sono le operazioni suicide. Vorrei ricordarle che questo tipo di operazioni è stato usato anche dalle Tigri vietnamesi e tamil, come pure dalle organizzazioni palestinesi”.

Tuttavia, gli shahid, ossia i combattenti suicidi, l’arma strategica della resistenza, non erano un’arma della quale i baathisti disponessero in gran quantità. Al contrario gli islamisti e in particolare l’ISI, formazione dell’internazionale islamista, ne disponevano senza limiti. Questa è certamente una delle ragioni per le quali, con il passare del tempo, la “resistenza islamista” e in particolare quella dello Stato islamico in Iraq (ISI) andò rafforzandosi continuamente e finì per attrarre molti giovani combattenti iracheni: in guerra, coloro che sono coerenti ed efficaci ottengono seguito; e chi dispone di uno, due, tre uomini al giorno che si lanciano in attacchi suicidi ha una efficienza micidiale ed è coerente fino all’estremo limite pensabile. Il medesimo fenomeno, è il caso di osservare, si è ripetuto tra il 2012 e il 2013 in Siria, dove la lotta armata era stata promossa da organizzazioni legate alla fratellanza musulmana, siriane e poi straniere. Tuttavia, dal momento della battaglia di Aleppo, l’internazionale salafita islamista, incarnata dalla formazione di Jabhat al Nusra, è entrata prepotentemente nello scenario di guerra. I combattenti di Jabhat al Nusra, tramite camion bomba guidati da shadid, in un solo giorno e con un solo morto , riuscivano a far sloggiare le basi e le postazioni dell’esercito siriano, le quali fino ad allora resistevano per mesi, e provocavano tra i combattenti islamisti nazionalisti della fratellanza (e in mercenari inviati dal Qatar) numerosissime vittime. Anche in questa occasione abbiamo assistito ad un enorme travaso di giovani combattenti (siriani e accorsi da ogni parte del mondo) dalle fila delle originarie formazioni verso Jabhat al Nusra.

La resistenza baathista. pertanto, si trovò davanti un secondo “nemico”, ulteriore rispetto agli eserciti statunitensi, “nemico” che fino ad allora combatteva al suo fianco sia pure per un obiettivo diverso e con nemici parzialmente diversi (tutti gli sciiti, anziché soltanto i militari e i poliziotti collaborazionisti) .

Ma vi è di più, nel 2007 la resistenza irachena si convinse di tre idee che sono state così efficacemente riassunte in tre punti:

Il primo è che l’influenza iraniana rappresenta un pericolo maggiore rispetto all’occupazione americana, poiché quest’ultima cesserà prima o poi, mentre l’influenza iraniana è permanente, ed interferisce con gli equilibri sociali, confessionali e demografici dell’Iraq.

Il secondo dato è che, mentre le forze sciite possono godere del sostegno militare, finanziario e politico iraniano, i paesi arabi circostanti appaiono indecisi e poco determinati a sostenere la corrente sunnita, fatto che determina un’assenza di equilibrio regionale tra sunniti e sciiti.

Il terzo dato concerne il fatto che opporsi a due occupazioni contemporaneamente – quella americana e quella iraniana – non è né realistico né praticabile. Ciò spinge a puntare al nemico più pericoloso – l’influenza iraniana – stabilendo invece una tregua con l’altro nemico – gli Stati Uniti – e spinge, anzi, a ricorrere a quest’ultimo al fine di rovesciare a proprio vantaggio gli equilibri militari, politici e di sicurezza”.

Sulla base di queste convinzioni è nato il progetto dei “Consigli del Risveglio” sunniti, che è stato ‘smerciato’ agli americani ad opera di ex comandanti della resistenza irachena e di leader tribali, ed è stato adottato dall’amministrazione americana; e non viceversa”. I consigli del risveglio avevano il compito di combattere “Al Qaeda”, ossia l’internazionale islamista, che in Iraq aveva la forma dell’ISI; contestualmente i sunniti avrebbero partecipato alle elezioni provinciali.

La frazione del partito Baath che faceva capo a Izzat Ibrahim Al-Douri, non entrò nei Consigli del Risveglio, decise di non combattere gli islamisti dell’ISI e alla fine del 2008 invitò i sunniti a disertare le elezioni provinciali.

Pertanto dalla fine del 2007 l’esercito degli stati uniti fu combattuto quasi esclusivamente dall”ISI e da altre formazioni islamiste nazionali. L‘Esercito degli Uomini dell’Ordine di Naqshbandi, esercito dei Sufi iracheni, pienamente nazionalisti, che faceva riferimento ad Al Duri, fu tra le poche formazioni non islamiste (anzi fieramente antislamiste) a continuare a combattere gli Stati Uniti. Su quest’ultimo punto tornerò, perché è decisivo.

Lo Stato islamico in Iraq può dunque vantare un grande titolo di onore (nei confronti di altre formazioni dell’internazionale islamista): quello di aver combattuto in Iraq contro gli sciiti (tutti avversati dall’ISI), contro i consigli del risveglio e contro gli statunitensi e di aver pareggiato mantenendo il controllo di alcuni territori.

Questo titolo, comprovato da migliaia di filmati che su youtube mostrano le operazioni militari complesse che ha compiuto, nonché le centinaia e centinaia di shahid, che erano il perno delle operazioni di attacco, conferisce evidentemente all’ISIS una tendenza all’autonomia strategica e tattica non accettata da Al Zawahiri, capo di Al Qaeda.

Infatti, in occasione dell’entrata dell’ISIS in Iraq, Al Zawahiri aveva definito l’intervento come un “disastro politico” per Al Qaeda ed effettivamente ISIS e il Fronte di Jabhat Al Nusra si sono scontrati in numerose occasioni. Al Zawahiri, il 3 maggio di quest’anno, ha ordinato all’ISIS di rientrare in Iraq. L’ISIS ha però rifiutato di ubbidire, replicando: “Lo Sheikh Osama ha unito tutti i mujahedeen con una sola parola, ma tu (al-Zawahiri, ndr) li stai dividendo”, ha detto Adnani, il portavoce dell’ISIS, con un riferimento al fondatore di al-Qaeda Osama bin Laden. Il portavoce dell’Isis ha quindi chiesto a Zawahiri di sostituire il leader di al-Nusra Abu Mohammed al-Jolani affermando: ”o continui con gli errori e la testardaggine, o ammetti i tuoi errori e li correggi. Hai reso i mujahedeen tristi e li hai resi nemici sostenendo il traditore (Jolani, ndr), ci hai fatto sanguinare il cuore. Sei tu che hai istigato il conflitto e tu lo dovresti estinguere”. Secondo L’ISIS Al Nusra non sarebbe sufficientemente determinata e le tattiche molli che adotterebbe ne farebbero di fatto una specie di “alleato” di Assad.

Può ben essere che rientrando in Iraq per la conquista di Mosul e di e altre città irachene, l’ISIS abbia alla fine a suo modo obbedito, ma ha comunque mantenuto il controllo di alcuni territori siriani.

3. L’ISIS e il partito Baath clandestino di Izzat Ibrahim Al Douri.

L’autonomia strategica e tattica dell’ISIS è testimoniata anche da almeno un altro elemento: la disponibilità ad alleanze tattiche con soggetti completamente estranei, non soltanto all’internazionale islamista ma anche all’islamismo politico tout court, comprensivo dell’islamismo che ha un’impronta nazionalista.

Sembra un dato indiscutibile che in questo momento, non diversamente che durante la guerriglia contro gli Stati Uniti, l’ISIS sia alleato della frangia del partito Baath iracheno capeggiata da Izzat Ibrahim Al Douri. In primo luogo, il governo iracheno, qualche giorno fa, ha annunciato di aver ucciso in un raid aereo il figlio di Izzat Ibrahim Al Douri, Ahmed al-Douri. In secondo luogo era stato lo stesso Izzat Ibrahim Al Douri a dichiarare che nella lotta di liberazione dall’Iran i militanti di Al-Qaida sono “fratelli nella jihad“. Succesivamente Al Douri ha precisato senza negare: “I media hanno deformato le mie parole quando ho detto che i combattenti di Al-Qaida sono i nostri fratelli nella jihad. Avevo aggiunto: alla condizione che cessino di prendersela coi civili, con la polizia e con l’esercito e che concentrino i loro sforzi contro gli occupanti ed i loro scagnozzi. Il nemico principale è l’Iran rappresentato, in particolare, dalla Guardiani della rivoluzione iraniana – i Pasdaran – e dalla brigata Al-Quds e i suoi alleati. La Resistenza Patriottica si applica solo, come ho detto, contro gli invasori”. La “Rivista di difesa italiana” dà per scontato che in questi mesi in Iraq abbia agito una alleanza che comprende l’ISIS ma anche altre forze, tra le quali Jaysh Rijal al-Tariqah al-Naqshabandia, l’Esercito degli Uomini dell’Ordine di Naqshbandi, JRTN. Questa formazione non cessò di combattere l’esercito statunitense ai tempi della costituzione dei Consigli del Risveglio e in verità sembra aver compiuto azioni di guerra (suppongo contro gli “iraniani”) anche nel 2012, quando gli Stati Uniti si erano ritirati. Essa riconosce come suo guida Izzat Ibrahim Al Douri- che è a capo del più vasto Fronte del Jihad per la liberazione e la salvezza nazionale -e ha rivendicato l’attacco su Mosul preparato da diversi mesi.

Va detto comunque che, se già al tempo della guerriglia contro gli americani, il Baath aveva sostituito, come cemento unitario della resistenza, l’islam all’ideologia del panarabismo, ormai Al Douri parla come un capo religioso: “Oggi come ieri, la gente di Al-Anbar sta al fianco dei suoi sceicchi, dei suoi dotti religiosi e sostiene i suoi combattenti”. E sembrerebbe non lesinare elogi per l’Arabia Saudita e per “la rivoluzione del popolo siriano”: L’Arabia Saudita è il baluardo della resistenza contro ogni complotto che ci vuole travolgere sia come esistenza che come identità. Se non fosse stato per l’Arabia Saudita, il miscredente Iran avrebbe avuto la supremazia nella nostra regione emanando corruzione e sventure. Dio conservi il regno Saudita che sta proteggendo la rivoluzione del popolo siriano, sta proteggendo il Bahrein contro i rivoltosi e sta conservando l’integrità del Golfo. La fede in Dio dell’Arabia Saudita sta proteggendo anche l’Iraq, l’Egitto, lo Yemen, il Libano e la Somalia. In Iraq non ci sono terroristi ma rivoluzionari”.

Tuttavia la differenza, almeno a livello astratto, con l’ISIL resta ed è netta: “Abbiamo sempre condannato l’uccisione di innocenti e civili e condanniamo fermamente quella dei membri dell’esercito, della polizia e dei funzionari governativi. Condanneremo tutti gli atti orribili, contrari alle leggi celesti e secolari, subiti dagli sciiti, dai membri delle varie sette religiose e dalle varie etnie”. A livello astratto perché l’intervista è di marzo e a giugno c’è stato l’attacco all’esercito, che tuttavia si è sfaldato (sul punto tornerò fra breve).

4. Scenari.

Non è dato sapere se l’alleanza tra l’armata islamista internazionale, che lotta per il Califfato, e i nazionalisti, islamisti e non (ma ormai sembrano tutti essere un po’, anzi parecchio, islamisti) possa reggere. Il dubbio, pur tralasciando altri profili, trova la propria ragion d’essere nella diversità dei possibili obiettivi strategici. Non si può escludere, infatti, che gli ex baathisti e le tribuù sunnite siano più realisti e disposti ad imporre ed accettare un “governo di unità nazionale” (ma prima di accettarlo dovranno riuscire ad imporlo: Al Maliki lo ha negato).

Che cosa è il “governo di unità nazionale”? Secondo Ali Reza Jalali, ricercatore e saggista, chiaramente e dichiaratamente filo-iraniano, sarebbe “un ritorno all’epoca successiva al comando americano dell’Iraq (vi ricordate del proconsole Bremer?), quella in cui gli USA, senza ancora indire elezioni, e senza una costituzione, avevano affidato l’Iraq a Allawi. Chi è Allawi? Uno sciita ex baathista, filoamericano, ma non filoiraniano, al contrario dei democraticamente eletti Jafari e Maliki. Insomma, quello che ora vogliono l’ISIL, i curdi, ma anche gli americani, è la formazione di un esecutivo di unità nazionale (in barba al risultato delle recenti elezioni, che di fatto dovrebbero essere congelate), guidato da una figura come Allawi, stimato, tanto per cambiare, anche a Ankara e Ryadh. Il governo di “unità nazionale” iracheno è solo il tentativo di togliere di mezzo Maliki o il Maliki della situazione”. Anzi “L’avanzata dell’ISIL è solo un mezzo per ricattare il governo di Baghdad” (Ali Reza Jalali qualifica come ISIL l’insieme dei rivoltosi, compresi gli ex baathisti). Questa, invero, è la versione “negativa” del governo di unità nazionale, quella “positiva” è quella di un governo non soggetto minimamente alla influenza iraniana, statunitense o saudita: un governo totalmente iracheno.

Vi è la possibilità che tra i ribelli prevalgano coloro che aspirano alla versione “positiva” del governo di unità nazionale, la quale non potrà mai essere concessa dai vincitori delle elezioni (Al Maliki, addirittura, ha del tutto rifiutato la formula ed escluso ogni governo di unità nazionale). In questo caso, l’esito siriano della rivolta, con una lunga guerra civile settaria, non potrà essere scongiurato. L’internazionale islamista è ovviamente favorevole a questa opzione, avendo come fine quello di promuovere una guerra secolare per la ricostituzione del Califfato. L’ISIS del governo di unità nazionale non se ne farebbe nulla.

A livello declamatorio, tuttavia, anche Al Douri ha pretese che possono essere soddisfatte soltanto con la guerra settaria. Per Al Douri, liberata la patria dagli Stati Uniti, si tratta di liberarla dall’Iran: “…la Resistenza patriottica combatte su cinque piani: 1 – affronta le forze di Swat e le milizie settarie Safawid; 2 – attacca obiettivi strategici per l’Iran; 3 – elimina collaboratori, traditori e spie; 4 – mina le fondamenta del governo fantoccio filo-iraniano; 5 – cerca e distrugge i centri specifici di presenza iraniana…. Il nemico principale è l’Iran rappresentato, in particolare, dalla Guardiani della rivoluzione iraniana – i Pasdaran – e dalla brigata Al-Quds e i suoi alleati.
La Resistenza Patriottica si applica solo, come ho detto, contro gli invasori.”:
non una guerra di ribelli sunniti contro l’esercito iracheno, dunque, bensì una guerra di iracheni – per lo più sunniti, ma anche in parte sciiti – contro milizie sciite safavide.Il completo sfaldamento dell’esercito iracheno nelle zone conquistate dai miliziani potrebbe essere un segnale che la maggioranza sciita al governo finirà per doversi difendere con milizie sciite, anziché con un esercito nazionale. Si tratterebbe di una grande vittoria strategica dei ribelli, che non intendono (almeno gli ex baathisti) combattere contro l’esercito iracheno.

Ormai, l’ideologia degli ex baathisti contrasta sul piano ideologico quello che essi chiamano il “progetto safavide”, per caratterizzare come eresia e nemico storico dell’islam (sunnita) l’egemonia iraniana. Insomma, messi alle strette e indeboliti, non aiutati da alcuno stato arabo, i sunniti iracheni, sia pure muovendo da una prospettiva nazionale e avendo provenienza culturale non islamista, potrebbero alimentare un duraturo settarismo religioso. L’impostazione “culturale” e strategica settaria si va diffondendo: persino i palestinesi vengono invitati a domandarsi se possono ancora accettare l’appoggio dell’Iran, senza agevolare il “progetto safavide” (e gli israeliani ovviamente gongolano). Consapevole della situazione, Nasrallah non è da meno e invita gli sciiti a imbracciare le armi per combattere gli “estremisti sunniti”, ovviamente, precisa, in difesa dell’Iraq e non di un gruppo religioso.

I ribelli hanno consenso nelle zone conquistate? I media hanno narrato di esodi di centinaia di migliaia di persone; tuttavia non è dato rinvenire in rete un solo filmato che mostri il suddetto esodo. Al contrario, molti filmati (questo, questo e questo, per esempio) mostrano che i ribelli godono di ampio consenso popolare. In realtà, nelle guerre civili, soltanto una parte minoritaria della popolazione svolge un ruolo attivo, di combattimento o di supporto. Gli altri sono “neutrali” e disponibili ad accettare coloro che di volta in volta comandano sul territorio. Nelle zone conquistate i ribelli sembrano avere sufficiente consenso mentre sembrerebbe da escludere che, a parte il problema dei Curdi, lo “stato iracheno” o le milizie sciite abbiano su quei territori una minima capacità di contrastare i ribelli. Per contrastare i ribelli è necessario portare forze non residenti in quei territori.

5. Il ruolo dei Curdi.

Quale ruolo svolgeranno i Curdi in questa vicenda non è chiaro a nessuno. Capita di leggere davvero di tutto. La Rivista italiana di difesa, nell’articolo sopra citato, crede che Al Maliki sarà “costretto” ad allearsi con i Curdi, segno che l’alleanza non è “naturale”, probabilmente perché qualsiasi ruolo rilevante dei curdi potrebbe non essere gradito all’Iran. Non a caso i Curdi chiedono il “governo di unità nazionale”, mostrando in questo modo di “comprendere” alcune ragioni delle proteste del 2013 e della rivolta del 2014. E infatti, il filo-iraniano Ali Reza Jalali (si veda la nota sopra citata) sembra dare addirittura per certa l’alleanza dei curdi con l’ISIS (che per questo autore designa tutti i ribelli sunniti). In Siria, però, curdi e gruppi dell’internazionale islamista si sono scontrati spesso, con i curdi in difesa dei loro interessi, non certo di quelli del governo di Assad.

6. Il ruolo degli Stati Uniti.

Infine, quale sarà il ruolo degli Stati Uniti?

Intanto, gli Stati Uniti hanno generato questa situazione. In primo luogo, aggredendo l’Iraq nel 2003, hanno distrutto un ordine, uno stato autonomo e indipendente e un equilibrio di poteri con l’Iran. In secondo luogo in Siria hanno sostenuto ribelli alleati dell’ISIS (negli Stati Uniti lo riconoscono in molti, tra i quali Rand Paul) e comunque si sono schierati contro il governo di Assad.

Tuttavia, quando erano ancora presenti in Iraq cercarono di riportare un certo equilibrio, scegliendo lo sciita ex baathista Allawi e, venendo a patto con la resistenza baathista, accettarono la proposta di formare i consigli del risveglio. In sostanza rifiutarono l’idea di dividere l’Iraq in tre – a tacer d’altro, uno stato curdo indipendente non poteva essere accettato dall’alleato turco e comunque sarebbe certamente scoppiata una guerra civile volta ad evitare la disintegrazione dell’Iraq – e cercarono un equilibrio tra le esigenze degli ex baahtisti e la maggioranza sciita che li aveva autati e aveva approfittato della guerra di aggressione. La proposta di Obama, oggi rifiutata da Allawi, di formare un governo di unità nazionale dimostra che gli Stati Uniti perseguono ancora la strategia che avevano quando occupavano l’Iraq, una strategia che è stata smentita dalle elezioni, che hanno visto il successo di Al Maliki. Ora la strategia è smentita anche dal governo iracheno.

In definitiva, le potenze che si giocano la partita in medio oriente sono Iran, Qatar e Arabia Saudita. I soggetti coinvolti nella partita sono, oltre alle tre potenze, l’Internazionale islamista, l’ISIS, la fratellanza siriana, gli ex baathisti, Hezbollah, i curdi, la Turchia, gli sciiti iracheni. La guerra civile irachena, simile alla siriana, è molto probabile. Gli Stati Uniti hanno combinato un disastro e ormai hanno perso il medioriente, sicché è vero che dichiarazioni come questa del Dipartimento di Stato americano “Gli Stati Unitiforniranno tutta l’assistenza necessaria al governo iracheno. ISIS non è solo una minaccia per la stabilità dell’Iraq, ma una minaccia per l’intera regione”, non diversamente dalla successiva proposta del governo di unità nazionale – in fondo contrastante con quella dichiarazione -, sono semplicemente frasi di circostanza e adempimenti dovuti. Gli Usa sono ormai fuori dalla partita: non dirigono o coordinano niente; e un ulteriore intervento militare non avrebbe effetti per essi favorevoli come non l’ha avuto l’intervento del 2003; né gli USA sono in grado di pacificare le forze in campo.

Vedremo come andranno le cose sui fronti, già esistenti o in preparazione, dell’est europeo, del pacifico e dell’America latina. Il Fronte mediorientale per gli USA è perduto. In seguito potranno anche re-intervenire e realizzare un loro interesse, nella sitazione che troveranno e che eventualmente potranno modificare. Tuttavia, per ora non hanno alcuna capacità di incidere in uno scenario che vede oltre 10 soggetti collettivi coinvolti, i quali agiscono per uno o altro assetto ad essi favorevole, e sono disposti alla guerra anche per anni o, nel caso dell’ISIS, decenni.

Stefano D’Andrea

Link: http://www.appelloalpopolo.it/?p=11575

26.06.2013

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