GLI USA BOMBARDERANNO IL MERCATO DEL GAS, MIRANDO ALLA DOMINAZIONE GLOBALE DEL SETTORE ENERGETICO

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DI AMBROSE EVANS-PRITCHARD

telegraph.co.uk

Il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti si prepara ad un’ondata di permessi per l’estrazione di gas GNL, come ultima mossa per ridisegnare il paesaggio mondiale del petrolio e del gas

Il prossimo anno gli Stati Uniti saranno pronti ad inondare i mercati mondiali con quantità una volta impensabili di “gas naturale liquefatto” [GNL], modificando profondamente la geopolitica dell’energia e portando una grave minaccia al dominio del gas russo in Europa.

“Prevediamo di diventare dei grandi protagonisti di questo settore e pensiamo che la nostra azione avrà un grande impatto sul mercato”, ha dichiarato Ernest Moniz, Segretario all’Energia degli Stati Uniti. “Influenzeremo l’intero mercato globale del GNL”.

Il Sig. Moniz ha detto che sono in costruzione quattro terminali di esportazione per il GNL. La prima ondata di spedizioni potrebbe iniziare prima della fine di quest’anno o, al più tardi, all’inizio del 2016.

“Ci sono certamente delle buone possibilità per diventare, entro questo decennio, degli esportatori di GNL di dimensioni pari a quelle del Qatar, che oggi è il più grande esportatore di GNL”, egli ha sostenuto, parlando a margine del vertice sull’energia “IHS CERAWeek” che si è tenuto in Texas.

Il Qatar esporta poco più di 100 BCM [miliardi di metri cubi], con l’Australia che recupererà velocemente terreno [nella classifica dei più grandi esportatori di GNL] non appena entrerà in funzione il giacimento offshore “Gorgon”. Potrebbe superare il Qatar, a fine decennio.

Il Sig. Moniz ha dichiarato che l’aumento della produzione statunitense di idrocarburi generata dal “fracking” degli scisti ha già trasformato il mercato globale: “Avremmo già dovuto importare un sacco di GNL. Queste quantità, invece, sono andate altrove e hanno avuto un impatto significativo sul mercato europeo”.

I “gas frackers” [gli operatori del settore] riuniti a Houston in occasione dell’“Energy Davos” hanno detto che le esportazioni, tutto sommato, potrebbero anche essere molto più alte, tali da permettere agli Stati Uniti di sorpassare la Russia come più grande fornitore al mondo di tutti i tipi di gas naturale.

“Siamo solo nei primi quindici anni di un processo che sarà lungo 150 anni”, ha dichiarato Steve Mueller, responsabile della “Southwestern Energy”, il quarto più grande produttore di gas degli Stati Uniti.

Il giacimento “Marcellus” – profondo di un miglio, si estende dal West Virginia e arriva, attraverso la Pennsylvania, allo Stato di New York – sta guidando questa crescita esplosiva. La “interlocking fracture” [tecnica di fatturazione] della roccia rende possibile l’estrazione di molto più gas di quanto fosse ritenuto possibile solo cinque anni fa.

Già ritenuto in declino il “Marcellus”, da solo, produce 113 BCM l’anno. Questa quantità equivale, più o meno, alle esportazioni dalla Russia verso l’Europa fatte attraverso i gasdotti North Stream, Yamal, e Brotherhood.

Il Sig. Mueller spazza via con aria di sfida le considerazioni di quanti sostengono che l’industria statunitense del “fracking” sia in guai seri. I costi di perforazione stanno scendendo a tal punto in fretta che la sua azienda – e molte altre – stanno un passo in avanti rispetto all’attuale cedimento dei prezzi degli idrocarburi.

“L’efficienza delle trivellazioni è stata assolutamente piatta per trent’anni, ma oggi l’abbiamo migliorata di ben cinque volte. Abbiamo messo in moto qualcosa di irresistibile che, a questo punto, non può più essere negato”, egli ha detto.
E ha continuato dicendo che, nel 2007, la sua azienda impiegava 17 giorni per realizzare un pozzo di 2.600 piedi.

Adesso, invece, ha appena realizzato un pozzo di 5.400 piedi in soli 6 giorni: “La nuova tecnologia è incredibile. Abbiamo una punta da trapano con all’interno un chip che gestisce da solo i cambiamenti di cui necessita”.

Il Sig. Mueller continua ad investire pesantemente nel settore e spera d’incrementare la produzione fino al 10% l’anno per i prossimi tre anni, nonostante il calo a circa 2,60 dollari per BTU [milione di unità termiche britanniche] dei prezzi del gas. “Se resta a circa 3 dollari tutto andrà bene”, egli ha concluso.

La EIA [US Energy Information Administration] prevede che i prezzi del gas saliranno, in termini reali, fino a 4,88 dollari [per BTU] entro il 2020 – e fino a 7,85 dollari [per BTU] entro il 2040.

E’ notevole il fatto che, oggi, i trivellatori degli Stati Uniti, con solo 280 impianti, siano in grado di produrre un terzo in più di gas naturale rispetto a quanto potevano fare nel 2009, con ben 1.200 impianti. La produzione totale di “shale gas” è salita a più di 350 BCM [miliardi di mc], partendo dal quasi nulla di una decina di anni fa. Ora rappresenta più della metà della produzione di gas degli Stati Uniti.

L’Amministrazione Obama fino ad ora è stata piuttosto lenta nell’approvare i nuovi terminali per l’esportazione del GNL, in parte per la preoccupazione che gli Stati Uniti potessero perdere il loro enorme vantaggio sul costo dell’energia e delle materie prime per l’industria.

Il gas si vende a 7 dollari [per BTU] in Europa e a più di 10 dollari [per BTU] nel Nord-est asiatico: è quattro volte più costoso [rispetto agli Stati Uniti]. Questo gap nei costi energetici è stato uno dei fattori-chiave a supporto del cosiddetto “rinascimento manifatturiero” dell’America. Ha alimentato il boom degli investimenti nei prodotti chimici, nell’industria della plastica e del vetro, e ha salvato le acciaierie del paese da una morte lenta.

A partire dal 2011, il corridoio che và da Houston a New Orleans ha attratto 33 impianti petrolchimici del valore di oltre 1 miliardo di dollari ciascuno. Entro il 2023 l’“American Chemistry Council” si aspetta, lungo questo corridoio, nuovi progetti industriali per un controvalore di oltre 130 miliardi di dollari.

L’Amministrazione Obama ha concluso che l’iniziativa degli Stati Uniti è ormai così radicata, che ci sarebbe comunque poco da perdere da un parziale livellamento del campo di gioco globale. Il costo per la liquefazione del gas a meno 260 gradi Fahrenheit e la spedizione attraverso l’Atlantico o il Pacifico con navi dallo scafo in molibdeno [metallo molto duro caratterizzato da un altissimo punto di fusione], sono tali da permettere all’industria statunitense di mantenere i suoi notevoli vantaggi.

Quattro terminali GNL dalla capacità di esportazione [complessiva] pari a 70 BCM saranno probabilmente approvati in tempi rapidi dal Dipartimento dell’Energia. Il primo sarà il terminal “Cherniere” – dalla capacità di 18 BCM – da realizzare a Sabine Pass, Louisiana.

Gli esperti sono divisi sulla possibilità che il Nord America possa davvero diventare il protagonista dominante del mercato mondiale del GNL. Moody’s, all’inizio di questo mese, ha avvertito che la maggior parte dei 30 progetti per la liquefazione del gas, previsti negli Stati Uniti e nel Canada, non potranno mai decollare, soprattutto per il legame esistente tra i contratti del GNL e il prezzo del greggio: “Il calo dei prezzi internazionali del petrolio ha spazzato via il vantaggio [di prezzo] del GNL statunitense”.

Michael Smith, responsabile della “Freeport LNG”, ha dichiarato che la sua società porterà avanti a prescindere il piano per la realizzazione di un impianto da 13 BCM nei pressi di Houston, e ha previsto che gli Stati Uniti potrebbero presto sorpassare tutti i rivali, diventando il nuovo paese-egemone nel settore del gas: “I nostri progetti sono molto competitivi e continueremo ad avere un notevole vantaggio rispetto al resto del mondo”.

Il Presidente russo Vladimir Putin ha avvertito, in occasione del vertice economico tenutosi St. Petersburg lo scorso anno, che lo “shale gas” statunitense sta bruscamente cambiando l’ordine internazionale, con serie conseguenze per il suo paese. I primi effetti hanno spinto al ribasso i prezzi del GNL a livello globale, creando una fonte-rivale per l’approvvigionamento del gas in Europa.

Eventuali future forniture americane eroderebbero ulteriormente il potere detenuto dalla Gazprom di determinare i prezzi in Europa, ed eroderebbero il peso politico del Cremlino. L’UE ha già una vasta rete di terminali per l’importazione di GNL.
La Lituania ha appena completato il suo terminal “Independence”, aprendo gli Stati Baltici al GNL, mentre il nuovo terminal della Polonia dovrebbe essere pronto per quest’anno.

Lo sprint parallelo del “petrolio di scisto” americano è ugualmente ad un livello mozzafiato. Scott Sheffield, responsabile della “Pioneer Natural Resources”, ha dichiarato che la sua azienda ha scoperto enormi riserve nel vasto “Permian Basin” posto nel Texas dell’Ovest [esteso anche al New Mexico].

“Pensiamo che, sul lungo termine, il ‘Permian Basin’ possa produrre 5-6 milioni di b/d [barili al giorno]”, egli ha detto. Si tratta di un’affermazione sconcertante. Questa quantità supererebbe la produzione del giacimento-gigante di Ghawar in Arabia Saudita, considerato il più grande del mondo.

Ryan Lance, responsabile della “Conoco Phillips”, ha detto che la produzione di petrolio in Nord America potrebbe raggiungere i 15 milioni di b/d entro il 2020, e i 25 milioni di b/d nel successivo quarto di secolo, tre volte le attuali esportazioni dell’Arabia Saudita.

Un balzo di queste dimensioni farebbe degli Stati Uniti la principale superpotenza energetica sia per il petrolio che per il gas, un revival che quasi nessuno avrebbe potuto immaginare solo sette anni fa, quando gli Stati Uniti erano prossimi al panico in relazione alla loro esorbitante dipendenza dagli idrocarburi importati. Porrebbe di nuovo gli Stati Uniti nella posizione che detenevano a metà del 20° secolo, quella di una nazione commercialmente in surplus e ancora una volta, forse in modo definitivo, come il più grande creditore esterno del mondo.

Il “fracking” è una tecnologia ancora di quasi esclusivo appannaggio del Nord America, ed è probabile che rimarrà tale fino ai primi anni del prossimo decennio. La Cina ha grandi ambizioni, ma i suoi volumi sono ancora piccoli e c’è una forte carenza d’acqua [indispensabile per utilizzare questa tecnologia] nelle aree-chiave. Il “fracking” resta al livello di semplici chiacchiere in molte altre regioni del mondo.

Gli analisti della Lukoil dicono che i costi d’estrazione dallo “shale” russo sono quattro volte superiori a quelli dei selvaggi trivellatori degli Stati Uniti. Le sanzioni, attualmente, impediscono ai russi d’importare il know-how e le tecnologie necessarie per sfruttare a costi sostenibili il loro vasto giacimento di “Bazhenov”.

John Hess, fondatore della “Hess Corporation”, ha detto che ci vuole la combinazione di molte circostanze perché si possa dar vita alla rivoluzione del “fracking” – i diritti dei proprietari terrieri sui minerali del sottosuolo, i gasdotti, le tasse, una giusta normativa ed infine una “buona roccia”.

“Queste stelle, in Russia, non si sono ancora allineate”. E ha concluso dicendo che è necessaria una forte accondiscendenza da parte della gente: “Ci vuole un migliaio di camion in entrata e in uscita per lanciare uno “spud” [trivellazione]. Non tutto il vicinato lo vuole”, egli ha concluso.

Certamente non nel Sussex, in Borgogna o in Baviera.

Ambrose Evans-Pritchard

Fonte: www.telegraph.co.uk/

Link: http://www.telegraph.co.uk/finance/newsbysector/energy/11563761/US-to-launch-blitz-of-gas-exports-eyes-global-energy-dominance.html

30.04.2015

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da FRANCO

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