GLI AGITATORI AL SOLDO DELL’ESTABLISHMENT USA LANCIANO LA SFIDA A TRUMP. SEATTLE 2.0 IN VISTA ?

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DI MAURO BOTTARELLI

rischiocalcolato.it

Era il 10 marzo quando Facebook decise che era ora di dare una bella spallata politicamente corretta al governo polacco. Quale era stata questa volta la presunta colpa di Varsavia? La decisione di aggiungere cinque giudici vicini all’esecutivo nella Corte costituzionale, il tutto per garantirsi un percorso privilegiato per le future leggi che verranno promulgate. Insomma, per Zuckerberg un qualcosa di inaccettabile, la giustizia è sacra.

D’altronde, ricorderete tutti la recente campagna messa in atto dal social network per fugare ogni dubbio sulla morte del giudice della Corte Suprema statunitense, Antonin Scalia, dopo che il San Antonio Express (primo giornale a dare la notizia del decesso) aveva riportato la testimonianza di John Poindexter, in base alla quale il giudice – la cui legge sulla privacy ha dato il via al nodo tra Apple e FBI sul caso San Bernardino, scoppiato giusto pochi giorni prima della morte – fu trovato a letto vestito e con un cuscino sulla testa. No, in quel caso Facebook non ritenne importante mobilitarsi, nemmeno quando venne esclusa l’autopsia.

Ma si sa, i giudici polacchi sono più importanti e quindi ecco che Facebook lancia la sua crociata con il seguente status: “Popolo polacco! Ti invitiamo ancora una volta alla cittadinanza attiva e ad aiutarci a pubblicare il giudizio odierno della Corte costituzionale polacca, il quale dichiara nero su bianco l’incostituzionalità dell’emendamento votato dal Parlamento il 22 dicembre 2015”. Ci furono 54mila condivisioni del post in 24 ore. Quindi, non solo la Commissione Europea aveva lanciato in gennaio un’inchiesta sulle minacce sistemiche poste dal governo polacco ai principi di democrazia, giustizia e libertà dei media, ora Facebook chiede la mobilitazione social.

E Facebook la sa lunga al riguardo, visto che faceva parte del conglomerato di sponsor e finanziatori di Movements.org, insieme a Dipartimento di Stato, Google, MTV, l’agenzia di relazioni pubbliche Edelman, CBS News, MSNBC e molti ancora. E cos’era Movements.org? Per capire bisogna partire da un acronimo, ovvero POMED, sigla che sta per Project on Middle East Democracy, un’istituzione sovraintesa da uomini del Council on Foreign Relations e del Brookings Institute, consorterie molto influenti nelle decisioni del governo e con addentellati in tutti i quadri intermedi del potere politico e di intelligence. E il POMED non solo ammise ma si fece vanto del fatto di aver aiutato chi protestava durante le Primavere arabe a sviluppare capacità e attitudine a fare network. Questo addestramento avveniva ogni anno sotto la supervisione e con l’organizzazione proprio di Movements.org, questo a partire dal 2008 quando i membri del movimento egiziano “6 aprile” e altri gruppi impararono tecniche di sovversione dei loro governi. Come siano andate a finire le Primavere arabe, lo sappiamo tutti: un disastro per i popoli, una manna per i destabilizzatori di professione.

E il potere di destabilizzazione, sobillazione e manipolazione dei social network è enorme. Nel silenzio generale, il 18 dicembre scorso il Congresso Usa ha dato il via libera al budget, la loro legge finanziaria e nello stesso giorno il presidente Barack Obama ha firmato, rendendolo esecutivo. Ma esattamente come in Italia, anche negli Usa vanno di moda i decreti omnibus, quelli che contengono anche provvedimenti non direttamente legati alla spesa governativa ma che necessitano di essere approvati, senza troppo clamore. E cosa fu incluso al Bill? Il cosiddetto CISA, “Cybersecurity Information Sharing Act”, ovvero una legge che permette agli enti federali Usa di ottenere accesso a tutti i dati sensibili di qualsiasi cittadino attraverso una piattaforma di condivisione con siti come Google o social network come Facebook, senza alcuna limitazione nell’utilizzo o nella tutela – residua – della nostra privacy ma, soprattutto, senza necessità di avvertire.

Quando lo scorso ottobre il Senato Usa diede il via libera al CISA con 74 sì e 21 no, Robyn Greene, consulente politico dell’Open Technology Institute si limitò a questa frase: “Hanno preso una brutta legge e l’hanno resa peggiore”. Mentre il senatore Richard Burr, estensore della prima versione della legge (la quale garantiva un minimo di privacy ai cittadini), ha dichiarato che “gli americani meritano politiche che proteggano sia la sicurezza che la libertà. Questa legge fallisce in entrambe i sensi”. Per farla breve, gli Usa hanno dato operatività a un secondo Patriot Act e i social network ne sono la spina dorsale.

E attenzione, preparatevi a un diluvio di like sulla prossima iniziativa destinata a infervorare tutti i SJWs del mondo. Chi siano i SJW è presto detto: si tratta dell’acronimo di “Social justice warriors”, ovvero blogger e attivisti per i diritti civili che utilizzano i social network come agit-prop per lanciare campagne di sensibilizzazione e mobilitazioni. Per capirci, quei signorini che twittano contro il libero mercato e il capitalismo utilizzando iPad o smartphone di ultima generazione e con ai piedi NIke da 200 dollari. Bene, chi è il prossimo bersaglio? Donald Trump. E chi è a capo della mobilitazione contro di lui, già definita “la più grande del secolo”? Alcuni gruppi come Policy Studies e Demos ma, soprattutto, MoveOn.org, lo stesso gruppo finanziato da George Soros (1,3 milioni di dollari) e capitanato dall’ex candidato democratico trombato dell’Illinois, Ilya Sheyman, che ha guidato le proteste contro il comizio di Trump lo scorsa settimana a Chicago. Ecco il logo dell’evento, una marcia lungo tutta la East Coast “per accendere un fuoco che trasformi il clima politico in America”. Guarda caso, l’evento si chiama “Democracy Spring”, la primavera della democrazia: nessun richiamo? Si comincerà con un meet-up il 2 aprile alla campana della libertà di Philadelphia per poi proseguire in una marcia a tappe fino a Washington: “Quindi, nello spirito di Granny D, dei marciatori da Selma a Montgomery, del pellegrinaggio di Cesar Chavez e dei lavoratori agricoli e di altre persone che hanno marciato per la libertà, daremo vita a una marcia di 10 giorni lungo 140 miglia da Philapelphia fino alla capitale”.

E a Washington DC, quelli di Democracy Spring si aspettano “migliaia di americani per dare vita a un sit-on presso i palazzi del potere in quella che sarà la più grande azione di disobbedienza civile del secolo”. E cosa chiedono questi martiri della libertà in versione hipster? “Le elezioni americane sono dominate da miliardari e grandi interessi finanziari che spendono somme illimitate in campagne politiche per proteggere i loro interessi speciali a spese di quelli generali”. Detto da chi si fa finanziare da Soros, che non mi pare un cassaintegrato di Avellino, fa abbastanza ridere.

Invece, c’è da preoccuparsi di questi burattini dei diritti civili controllati e finanziati dall’establishment. E ancora: “Il terreno è pronto per un coraggioso intervento per trasformare l’esca da fuoco della frustrazione pubblica passiva in un fuoco che trasformi il clima politico in America, tale da far esplodere un movimento popolare che non può essere fermato”. I leader hanno già dichiarato che stanno dando vita a sessioni di addestramento per i partecipanti, visto che “Democracy Spring” “richiede addestramenti obbligatori di disobbedienza civile non-violenta 2 volte al giorno per chi rischierà l’arresto durante i sit-in dall’11 al 16 aprile”. Ma tranquilli, se per caso qualcuno sarà arrestato, “Democracy Spring” ha già assicurato assistenza legale da parte di un avvocato ignoto ma “con decine di anni di esperienza in casi di disobbedienza civile”. E, magari, studio a Park Avenue: chissà chi pagherà per i suoi servigi?

Detto questo, i leader di “Democracy Spring” negano che si stiano progettando atti violenti. Ben gentili, vedremo se sarà davvero così o se si sta preparando un’altra Seattle per ottenere attraverso violenza e risposte emergenziali ciò che l’establishment che finanzia questi figli di papà vuole: ovvero, evitare ad ogni costo che Donald Trump sia nominato a luglio. E quanto scritto sul sito Internet dell’organizzazione parla chiaro: “Domanderemo al Congresso di ascoltare il popolo e prendere decisioni immediate per salvare la nostra democrazia. E non molleremo finché non lo faranno o non avranno mandato in prigione migliaia di noi”. D’altronde, è facile capire con chi si ha a che fare ricordando le parole con cui Kai Newkirk, leader di “Democracy Spring”, interruppe Donald Trump durante un dibattito sulla CNN: “Il popolo americano merita elezioni libere e giuste e non aste per milionari”.

Immagino che per milionari non intenda George Soros che gli paga i vizi da Che Guevara dei poveri o Hillary Clinton che tiene discorsi a pagamento per Goldman Sachs. Sono certo che Facebook e soci faranno la loro parte in questa battaglia di anime belle. Sempre che non siano troppo impegnati ad attaccare il governo polacco. In attesa dell’arrivo della primavera della democrazia, ieri il gruppo hacker Anonymous, il quale ha dichiarato guerra a Trump perché ritiene che sia “un fascista che vuole instaurare una dittatura in America”, ha comunicato di aver reso noti il numero di telefono e di previdenza sociale del tycoon newyorchese. Sicuramente, dopo questa azione così coraggiosa e importante, milioni di bambini nel mondo non moriranno più di fame.

Mauro Bottarelli

Fonte:

Link: http://www.rischiocalcolato.it/2016/03/gli-agitatori-al-soldo-dellestablishment-usa-lanciano-la-sfida-trump-seattle-2-0-vista.html

18.03.2016

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