“Fuoco amico”

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di ENRICO PIOVESANA

Comincia ad emergere la verità, sconcertante, sulla strage degli innocenti di Beslan.
Nonostante gli sforzi delle autorità russe, la verità sulle responsabilità per la strage di Beslan sta pian piano venendo a galla. E si tratta di una verità sconvolgente: i quasi quattrocento morti della scuola numero uno, in maggioranza bambini, sono imputabili soprattutto a uno sproporzionato e sconsiderato uso della forza da parte dei corpi speciali russi.

La censura imposta dal Cremlino alla stampa russa indipendente e il silenzio ordinato a testimoni e superstiti dalle autorità non hanno impedito a molti di parlare, di raccontare come sono andate veramente le cose. Tasselli di un mosaico che qualcuno, in Russia, sta cercando di ricomporre.

E’ il caso del quotidiano Novaya Gazeta, una delle poche voci critiche del panorama giornalistico russo (lo stesso giornale per cui lavora la famosa giornalista Anna Politkovskaya, avvelenata dai servizi segreti di Mosca nei giorni del sequestro). E dell’esperto militare russo Pavel Felgenhauer, che sta conducendo una sua indagine personale per vederci più chiaro.
Secondo le loro ricostruzioni, basate su testimonianze dirette di sopravvissuti e di cittadini di Beslan, quello messo in atto dalle forze russe non è stato un blitz per liberare gli ostaggi ma una vera e propria azione di guerra condotta nel più totale spregio della vita degli ostaggi, con l’impiego di armamenti altamente distruttivi come carri armati, elicotteri da guerra e devastanti lanciafiamme.
Ecco alcune di queste voci.

“Guardate cosa rimane di questo corpo”, dice Lyudmila Kokova, la preside della scuola di Beslan. “Di lui è rimasto intero solo uno stivale. Quella non è stata un’irruzione, è stata una guerra! I carri armati appostati in via Komintern sparavano cannonate contro i muri della scuola e il pavimento tremava come se ci fosse un terremoto”.

“I primi colpi”, racconta Marina Karkuzashvili, una sopravvissuta, riferendosi alle cannonate, “danneggiarono i muri e mandarono in frantumi le vetrate della palestra, uccidendo molti ostaggi che stavano lungo le pareti. Non si scatenò però nessun incendio e il soffitto rimase intatto. Prese fuoco solo dopo, quando cominciarono a bombardarlo da fuori: in un attimo i pannelli di plastica s’incendiarono cadendo sulla gente, che prese fuoco all’istante. Bruciavano tutti come torce”.

Molti testimoni hanno raccontato che su quel tetto i russi hanno sparato razzi da un elicottero da guerra Mi-24 (una corazzata volante assolutamente inadatta per operazioni ‘chirurgiche’, assicura Felgenhauer) e granate incendiarie sparate dal tetto del condominio n. 39 che sovrasta la scuola, trasformato dai russi in postazione militare durante le oltre dodici ore di battaglia.

Gregory Beroyev viveva lì ed è stato uno dei pochi a non venire scacciato dai soldati, dato che il suo appartamento non era in posizione utile. “Spararono così tanto e con armi così potenti che temevo che il mio palazzo crollasse, con le mitragliatrici dalle finestre e con i razzi dal tetto”, ricorda Gregory. “Il giorno dopo degli uomini in abiti civili ci hanno detto di non raccontare quello che avevamo visto e di tenere alla larga i giornalisti”.

Ma i giornalisti, almeno quelli di Novaya Gazeta, non si sono arresi e, saliti sul tetto del condominio hanno anche fotografato tre grossi lanciafiamme ‘Bumblebee’, che, come spiega Felgenhauer, sparano bombe termobariche ad altissimo potere incendiario, normalmente usate per dare alle fiamme intere case e considerate così devastanti da essere state vietate dalle convenzioni di Ginevra.

“Dopo il crollo del tetto incendiato”, continua a raccontare Marina, la superstite, “i sequestratori ci hanno fatti salire al secondo piano. Gli elicotteri erano scesi davanti alle finestre della mensa e attraverso quelle mitragliavano a raffica dentro la scuola. I terroristi hanno ordinato ai bambini di mettersi alla finestra e di urlare ai militari di non sparare. Mia figlia Lora è morta così, davanti ai miei occhi: mentre urlava disperatamente ‘Non sparateci!’ una raffica l’ha uccisa assieme a tutti gli altri che erano alla finestra. Il suo corpo era straziato da fori enormi”.

Le gravissime responsabilità delle forze russe non stanno emergendo solo in base a simili testimonianze. Evidentemente anche nelle indagini della commissione parlamentare d’inchiesta, inizialmente osteggiata dal presidente russo Vladimir Putin, stanno venendo alla luce imbarazzanti verità.

Lo dimostra il fatto che l’altro ieri il comandante delle operazioni militari di Beslan, il generale Viktor Sobolev, comandante della 58esima armata russa di stanza in Ossezia del Nord, ha pubblicamente ammesso in un articolo apparso sull’organo ufficiale del ministero della Difesa, Krasnaya Zvezda (Stella Rossa), che nell’operazione di Beslan sono stati fatti molti errori, ma tutti imputabili ai servizi segreti, l’Fsb, e al ministero dell’Interno, intervenuti sulla scena in maniera tardiva e inopportuna. Uno scaricabarile tra poteri forti che, evidentemente, nasconde verità inconfessabili.

Enrico Piovesana
Fonte:www.peacereporter.it
26.10.04

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