ECCO COSA FA (E NON COSA DICE DI FARE) LA CINA CON IL DEBITO AMERICANO

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DI AMBROSE EVANS-PRITCHARD
blogs.telegraph.co.uk

Il tema è rilevante: la Cina è il primo creditore di titoli di stato americani dopo la banca centrale americana, Ndt

Si è tanto parlato dei toni retorici delle autorità cinesi nel dubitare del merito di credito del debito degli Stati Uniti e nel relegare, “nel cestino della storia”, il dollaro.

I dati più recenti mostrano il forte aumento delle riserve di valuta estera della Cina: l’incremento, nel terzo trimestre, di 163 miliardi di dollari, uno dei maggiori di sempre, ha portato il totale a 3,66 trilioni di dollari.

Mark Williams e Qinwei Wang, della Capital Economic, lo hanno definito ”sorprendente”. La loro tesi è che la banca centrale cinese, nel mese scorso, debba aver comprato 70 miliardi di dollari di obbligazioni estere nel frenetico tentativo di mantenere basso il valore dello yuan. [la valuta cinese, anche chiamata renmimbi, Ndt]

Noi non sapremo subito quante, ma una significativa quota di esse, saranno state obbligazioni di stato americane. Occorre ricordarselo quando leggiamo sullo Xinhua [http://en.wikipedia.org/wiki/Xinhua_News_Agency, è la principale agenzia di stampa cinese ed è controllata dalle autorità, Ndt] che la battaglia sull’innalzamento del debito “ha messo in apprensione molti stati che hanno investito nei titoli statunitensi e ha fatto tremare la comunità internazionale”.

O quando [lo Xinhua, Ndt] afferma che:

“Si dovrebbe costituire un nuovo ordine mondiale nel quale tutte le nazioni, grandi o piccole, povere o ricche, possano veder i propri interessi rispettati e protetti dalle stesse tutele. Tanti sono i passi da compiere per giungere ad un mondo de-americanizzato.”

Che siano solo parole lo dimostra l’incremento delle riserve valutarie cinesi. (E si badi che detenerne troppe non è un segno di forza ma il sintomo di un’economia squilibrata). Pechino non è in procinto di aprirsi al mercato dei capitali e a lasciar decidere al mercato il valore del cambio della propria valuta.
La buona notizia per la Cina è di non essere più un mercato emergente, da nessun punto di vista. Si è rivelata un porto sicuro durante la fase di turbolenza affrontata, quest’estate, dalle piazze finanziarie di India, Indonesia, Turchia, Brasile, Sud Africa, Ucraina, Serbia ed altri. In Cina non si è verificata una fuga di capitali. Ne ha subito un arrivo indesiderato [un rapido ingresso di capitali potrebbe comportare un analogo deflusso non appena terminata la fase di instabilità dei mercati, Ndt].

Ma c’è un lato oscuro. Sebbene tanti siano gli annunci, la Cina rifiuta ancora oggi di abbandonare la politica mercantilista. Sta tenendo basso lo yuan per mantenere ad ogni costo quote di mercato a livello globale e proteggere i limitati margini di profitto delle sue aziende esportatrici, senza neanche riuscirci sempre.

Nutro seri dubbi sulla diffusa fiducia nel ritorno ad una forte crescita cinese. Alto è il rischio che sfumi. Si può notare dai dati, di Simon Ward della Henderson Global Investors, che in Cina l’offerta di moneta sia scesa:

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La valutazione di Ward dell’offerta di moneta M1 [quantità delle banconote e monete detenuti dal settore pubblico e privato, delle riserve bancarie e dei depositi a vista. E’ un valore che influenza inflazione e tassi di interesse, Ndt] è un campanello di allarme per l’economia per i prossimi sei mesi.

C’è da attendersi un rallentamento nel prossimo inverno e nella primavera. E’ bene prepararsi.

Comunque la si pensi il recente balzo del tasso di crescita [il grafico mostra una crescita della produzione industriale, linea blu, nel 2013, Ndt] è stato realizzato interamente tornando ad investire nell’industria pesante ed elargendo (nuovamente) credito in eccesso, secondo le vecchie cattive politiche dell’economia pianificata stigmatizzate dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale.

L’efficacia dei tassi di interesse bassi [per stimolare l’economia, Ndt] è crollata. Ogni yuan in più prestato contribuisce solo ad un incremento di 0,18 yuan del PIL. Il ciclo del credito è in stallo [nonostante i tassi bassi le imprese e le famiglie non ne chiedono, Ndt]. Il debito [pubblico, Ndt] è volato dai 9 trilioni ai 23 in cinque anni, cioè il triplo del PIL. Continuare così vuol dire giocare con il fuoco. I tecnici cinesi conoscono esattamente le implicazioni ma non possono agire facilmente. Sono in ballo interessi politici.

Zhiwei Zhang di Nomura ha pubblicato un articolo, “Cina: Perché la ripresa economica è insostenibile” evidenziando sette motivi per cui la recente espansione sia artificiale e destinata a sgonfiarsi come un soufflé mal riuscito.

Quello che mi ha lasciato senza parole è scoprire nella quarta sezione del report del FMI che il deficit fiscale totale cinese (inclusi quelli delle autorità locali) era il 7,4% del PIL l’anno scorso. Era il 9,7% escludendo le vendite di terreni, che dovrebbero essere escluse perché sono una specie di schema Ponzi [metaforicamente uno schema truffaldino che promette facili guadagni, Ndt].

La tabella mostra che la situazione cinese è, in realtà, peggiore di quella degli Stati Uniti:

Tutto questo non significa che l’economia cinese stia deragliando. Ciò che si dimostra è quanto il modello di sviluppo cinese sia stato basato sul credito facile [cioè un eccessivo indebitamento indotto da tassi di interessi bassi, Ndt]. Questa leva è stata sfruttata al massimo.

D’ora in poi crescere sarà molto più difficile.

Ambrose Evans-Pritchard
Fonte: http://blogs.telegraph.co.uk/
Link: http://blogs.telegraph.co.uk/finance/ambroseevans-pritchard/100025792/watch-what-china-does-with-us-debt-not-what-it-says/
15.10.2013

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTIANO ROSA

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