EBOLA: COME CREARE NERVOSISMO

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DI BINOY KAMPMARK

counterpunch.org

Paure e congetture sulla pandemia

Potrà diventare, l’Ebola, la prossima colossale pandemia, diffondendosi velocemente in questa società felice e spensierata?

Oppure l’immaginario collettivo l’assocerà a memorie di sventura e ad ipotesi di cedimento strutturale del mondo sviluppato, come capita con certe malattie?

L’”Irish Times” riporta le parole di un “rifugiato della Guinea in fuga dall’Ebola”, come se queste fossero promessa di un imminente olocausto virale. “Molte persone della mia famiglia sono morte. Ho lasciato la mia casa e non so cosa fare” (4 Agosto).

A seguito: “Ebola: grati di essere ancora vivi” (Francesco Santoianni, francescosantoianni.it);

Il quotidiano continua segnalando che la malattia ha portato via 730 vite ed infettato circa 1.300 persone, e che continua a “strisciare in tutta l’Africa occidentale”.

Coloro che in un paese come gli Stati Uniti si battono contro queste malattie, lo fanno in vari modi. Se si tratta di una vera e propria minaccia per il benessere del paese, le brigate anti-pandemia si danno da fare con gli aghi e gli antidoti anche se, dentro sé stessi, tutti si chiedono quanto sia autentica la gravità di quella minaccia. L’altra faccia di tutto questo è una specie di combinazione fra riflesso condizionato, inefficienza ed isteria: qualcosa di terribile ci sta infettando, e noi non siamo capaci di gestirla!

Poi c’è un altro tipo di reazione: niente è marcio, instabile o palesemente sbagliato. Tutto è tranquillo sul fronte della malattia. Devono preoccuparsi solo le società mal gestite, perché i paesi sviluppati hanno risolto questo problema, potendo contare su ampie risorse e diffuse infrastrutture mediche. Nel caso del virus Ebola, la narrativa sul controllo virale è sempre stata associata al concetto di “Stato in fallimento”.

La preoccupazione per l’insorgenza di un’epidemia nell’Africa Occidentale cresce di giorno in giorno. Patrick Sawyer, 40 anni, è morto dopo un viaggio in aereo – dalla Liberia al Ghana, e quindi nel Togo e nella Nigeria – generando dei forti timori per la diffusione del virus.

In Namibia, Venerdì scorso (1 Agosto), oltre cento passeggeri del volo Air Namibia SW722 sono stati tenuti in isolamento per quattro ore – dopo che uno di loro è stato sospettato di essere infetto dal virus – fino a quando è stato chiarito che si trattava di un falso allarme.

Nello stesso giorno la Emirates Airlines ha comunicato che dal giorno successivo avrebbe sospeso i voli verso Conakry (Guinea), “fino a nuovo avviso, a causa dello scoppio del virus Ebola in Guinea”.

Il virus si è fatto strada verso gli Stati Uniti attraverso due cittadini americani – Nancy Writebol di “Serving in Mission” e Kent Brantly di “Samaritan’s Purse”. La terrificante sensazione creata dal cordone sanitario stretto intorno a questi paesi – giunta all’approccio della polizia nei riguardi dell’infezione ed agli articoli dei media – non è di grande aiuto nell’attenuare i timori.

Ad aggravarli ulteriormente, poi, c’è stata l’infezione dei due volontari americani della “Peace Corps”, uno dei quali è lo stesso Sawyer. I media, infine, hanno alimentato il nervosismo diffondendo l’idea che i cittadini infetti potrebbero essere ricondotti negli Stati Uniti per il trattamento della malattia (come effettivamente avvenuto, ndt).

Il “Nigeria’s Tribune”, ad esempio, ha titolato con un allarmistico: “la diffusione dell’Ebola genera il panico globale” (3 Agosto). Il quotidiano sostiene che l’Organizzazione Mondiale della Sanità sta lanciando i tipici segnali di una pandemia incontrollabile, e “condisce” le notizie, allo stesso tempo, con le immagini dei pazienti infetti. C’è persino un qualche senso di soddisfazione nell’affermare che “il virus mortale si sta diffondendo anche nelle grandi potenze mondiali, come gli Stati Uniti d’America”.

Anche il britannico Daily Mirror – che non voleva certo restar fuori dalla tempesta delle congetture dei media – si è gettato nella mischia, titolando: “Ebola spaventa Gatwick: 39 ore di panico quando un passeggero proveniente dalla Sierra Leone è morto, dopo esser sceso dall’aereo” (4 Agosto).

La lettura del solo titolo suggerirebbe che è in vista un demoniaco assalto contro la Gran Bretagna, effettuato da potenti “forze virologiche”. Il passeggero, invece, prima di morire soffriva di “sudorazione fredda e vomito”, mentre “i tests effettuati a tarda notte hanno escluso quella mortale malattia tropicale come causa della sua morte”.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso il suo portavoce Gregory Hartl, non ha raccomandato draconiane restrizioni di viaggio, ma c’è la sensazione che sia allo studio una chiusura delle frontiere.

Il Dr. Graham Fry del “Tropical Medical Bureau” ha cercato di rassicurare i “mercanti di panico”, sostenendo che è improbabile una massiccia progressione della malattia. “(L’infezione) non si prende durante un volo. Ci si può infettare solo come conseguenza di uno stretto contatto personale con una persona infetta, attraverso il sangue o i fluidi corporei (sudore, saliva etc., ndt). Non è come la tubercolosi, che si può prendere anche se su un aereo si sta seduti sette file indietro, rispetto ad una persona infetta”.

Il Dottor Christopher Ohl del “Wake Forest Baptist Medical Center” sta cercando di frenare coloro che desiderano premere il tasto del panico. Sta usando, al contrario, un altro approccio. I due missionari infetti (Writebol e Brantly) sono stati riportati negli Stati Uniti per essere curati, perché: “le loro possibilità di sopravvivenza sono molto più alte qui da noi. Le nostre unità di terapia intensiva, le nostre risorse e la nostra assistenza medica sono nettamente migliori, e non c’è assolutamente alcuna ragione per non farli tornare”.

Ma non c’è alcun motivo, allo stesso tempo, per assumere posizioni di razionale ottimismo, come fa ad esempio lo scrittore ed imprenditore Matt Ridley, che taccia ironicamente di “eco-catastrofismo” i sostenitori delle posizioni allarmiste.

I problemi di degrado ambientale ed i disastri generati dall’uomo (ma, su questo punto, ancor più gli errori commessi nel combattere la malattia) sono in effetti fin troppo frequenti.

Ridley non ha alcun interesse a gridare “al lupo”, anche se il problema rimane pur sempre quello di che cosa possiamo fare quando il lupo arriva sul serio. L’Ebola può anche avere un’immagine terribile, ma una reazione guidata dal panico e dalla presunzione culturale non servirebbe proprio a niente nel tentativo di frenare la marcia del virus.

BINOY KAMPMARK

Fonte: www.counterpunch.org/

Link: http://www.counterpunch.org/2014/08/04/ebola-getting-antsy/

4.08.2014

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCO

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