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DI CARLO BERTANI

carlobertani.blogspot.it

Vorrei iniziare l’anno con una bella storia, perché di storie tristi e balorde ne ho raccontate troppe, però non la trovo, non ci riesco proprio: sarò un depresso cronico?

Allora sogno. Sogno di ritrovarmi sulle sponde di un fiume dalle acque chete dove, ogni tanto, un pesce guizza e disegna un cerchio nell’acqua che, mentre la corrente – al rallentatore – muove lo scenario, lentamente si cancella e scompare. Fino al prossimo pesce, fino a quella barca laggiù – ancora lontana – ma sono certo che, se aspetterò ancora, sfilerà proprio di fronte a me, alla mia lenza che scompare nell’acqua torbida.

Ma ecco, eccolo che arriva, ecco il pensiero disturbante che davvero intorbida – non le acque – ma i pensieri.

Il canale navigabile Padova-Venezia, della lunghezza di 27 chilometri e mezzo, è compreso tra l’area dell’Interporto di Padova (Zona Industriale) e termina in Laguna, in corrispondenza del preesistente canale Dogaletto. L’idrovia, incompiuta in quanto priva della parte centrale, oggi è visibile in due tratti, a valle di Padova, e nella parte terminale del suo percorso. Lungo il tracciato è possibile vedere i ponti stradali e gli unici due manufatti idraulici realizzati, la chiusa mobile a paratie in destra idraulica della Cunetta di Brenta, realizzata nel 1981, e la conca di navigazione Romea (o Gusso), nel tratto terminale (in località Gambarare). La storia dell’idrovia nasce nel 1955, sulla base di un’idea delle Camere di commercio di Padova e Venezia, con un progetto elaborato dal Genio civile di Venezia; la costituzione del Consorzio per l’Idrovia Padova – Venezia è del 1965. I lavori iniziano nel 1968, ma già nel 1977 sono fermi. Con ritardi e a singhiozzo i lavori proseguono, fino alla soppressione del Consorzio nel 1988.”

L’idrovia (1) “nasce” nel 1955, quando avevo 4 anni e la nonna m’accompagnava all’asilo, dalle suore: che bello andare all’asilo! Poche auto in circolazione…frotte di bambini, fiocchi rosa ed azzurri, sole, aria di Maggio.

Nel 1965 – anni torbidi, fra una improbabile “liberazione” e la cappa mefitica di un’adolescenza troppo stretta, esageratamente miope per occhi curiosi – finalmente, “la costituzione del Consorzio”.

1968, anno liberatorio, nella vulgata odierna. In realtà, solo sbuffi di alito tenue, un Fiorile rivoluzionario tenta di penetrare dalla Gallia Transalpina a quella Cisalpina, con scarso successo. Rimarrà la malinconia di due geni, i fratelli Taviani, che – proprio in Fiorile – incorniceranno in chiave storica tutta la nostra disillusione d’italiani, nati dalla parte sbagliata? Ognuno la pensi come vuole. Ah, finalmente, finalmente cominciano i lavori: si fa il canale! Le chiatte torneranno a ritmare il tempo con i diesel lenti, “testa calda”, come già si muovevano – a colpi di remo, anch’esso ritmico e quasi musicale – sul Brenta, i veneziani coi parrucchini.

Scocca il 1977…una risata vi seppellirà…per qualcuno è già tardi, per altri è ancora presto e s’inizia ad avvertire un senso di vuoto, scricchiolii di paratie, colpi sordi di secche che rimbombano la carena. L’opera viva soffre: i lavori si fermano, nelle menti deluse di una generazione e sul canale. Perché? Ma quanti perché dovremmo spiegare in quest’Italia maledetta, non faremo mai a tempo! Noi a spiegarli e loro a crearli!

Scorrono come un torrente in piena, fetido di veleni, gli anni ’80 e, nel 1990, De André pubblica “La domenica delle salme”, il suo testo più profetico ed ispirato, più lugubre e disincantato. A parer mio, ovvio, che magari si può anche dire che non ho mai capito un cazzo. Ah, nel 1988 i “consorzio” del canale – immaginato nel 1955 e nato nel 1965 – muore, ossia viene sciolto. Forse ascoltò le rime di Faber:

La domenica delle salme

gli addetti alla nostalgia

accompagnarono tra i flauti

il cadavere di Utopia…”

e decise d’andarsene, in silenzio, di traghettare nei soli luoghi dove potesse sopravvivere: affogò nel sogno.

Poi il ritmo riprese, aumentò d’intensità, si tinse di colori nuovi…si collega Milano al mare! Ma la storia nasce lontano.

Nel 1941, quando mio padre era solo un quindicenne ammarato, suo malgrado, in una faccenda chiamata “guerra”, fondarono il consorzio “Milano-Cremona Po” (2), ma c’era la guerra, e ci si buttò a costruire corazzate ed aeroplani, mica canali.

Tutto sonnecchiò per molti decenni…cullato da mamma FIAT e da Società Autostrade…fino a quando mio padre, oramai in pensione, lesse che si scavava, da Cremona verso Nord: noi tireremo diritto!

Ma si fermarono quasi subito, dopo appena 13 chilometri di canale: bello, largo, acque placide. 13 chilometri d’acqua nella Pianura Padana, gioia per i pescatori. Ah, sì…perché nel 2000 il consorzio fu sciolto: chissà se incontrò, nelle vie dell’Ade, l’altro, quello che doveva raggiungere Venezia da Padova.

Oggi, 15 Gennaio 2017, leggo che il futuro sarà l’auto elettrica. Che bello. Personalmente, preferirei avere ancora sotto il sedere la mia vecchia, cara Lancia Fulvia HF di un tempo, ma se mi daranno una Smart elettrica la guiderò lo stesso…mica m’impressiono…

Il problema è che, credere di risolvere il problema del trasporto parlando di auto elettriche e di colonnine di ricarica, è come pensare di risolvere i problemi della Sanità italiana discutendo sul diametro delle ruote delle sedie a rotelle.

E l’energia dove la vai a pescare? Sono le persone il problema? O le merci?

Leggo anche (fine 2016) che l’UE – sì, quella cattiva, proprio quella roba là – ci ha spronato (accollandosi il 40% dei costi, a patto che noi, finalmente, riusciamo a scavare un canale completo), a completare l’opera, perché ogni nave fluviale “toglie” 85 TIR dalle autostrade, e muove un solo motore, per giunta molto parco nei consumi. Che domani potrà anche essere elettrico, ma intanto bisogna fare il canale. L’ultimo anelito “politico” italiano, sulla questione, l’ha generato Maroni: dopo attente riflessioni, ha proposto a tutti – per il canale, ovvio – un “tavolo di discussione”.

Nell’attesa di prossimi sviluppi, riascolto un altro brando del mio autore preferito, sempre lui, Fabrizio:

Chi mi riparlerà

di domani luminosi

dove i muti canteranno

e taceranno i noiosi…”

Perché? Poiché osservo che non serve a nulla, né scrivere articoli né pubblicare libri (3)…l’italiota medio non cambia…gli fai vedere una macchina elettrica e pensa che il futuro sia quello: alla guida di un mezzo che non consuma carbone o petrolio (cioè, lo consuma, ma è bruciato da un’altra parte) si culla nel suo sogno di salvare il pianeta. Per questo l’auto elettrica conta come la ruota della carrozzella nella Sanità.

E chi sa trasfigurare i sogni in consensi, ci sguazza.

Le merci?

Sapete quanti TIR di farina devono entrare in Roma per portare il pane tutti i giorni? Almeno 45, una colonna di camion lunga più di un chilometro, e solo per il pane. V’immaginate quante colonne di camion devono arrivare, almeno in periferia, per scaricare farina, verdure, carni, vini, ecc?

Eppure, sarebbe facile rendere navigabile il Tevere almeno fino a Fiumicino, che è oramai la periferia di Roma.

Lo stesso a Milano, se non si fossero fermati a 13 chilometri da Cremona: in passato, data la pessima condizione delle strade (con il collasso delle vie consolari romane), si portava quasi tutto via fiume.

Avete mai percorso il tratto autostradale Savona-Genova? Tutte le merci che viaggiano dalla penisola iberica verso l’Est dell’Europa s’incanalano in un budello di due corsie, senza corsia d’emergenza!?! C’è da tremare a percorrerla.

E qui bisogna essere riflessivi e capire, anche le cose che non vorremmo sentire: come mai, mentre noi italiani fondavamo e chiudevamo consorzi per la navigazione fluviale, in Germania si portava il “tirante d’acqua” – ossia il pescaggio utilizzabile, la profondità certa – a 3 metri in tutti i tratti del Reno, utilizzando anche l’esplosivo nei tratti a fondo roccioso?

Come farebbero, i tedeschi, se non avessero dei canali, a circolare ancora fra Cologna, Duisburg, Essen, Dortmund, Hannover e Munster senza finire in un solo, colossale ingorgo senza fine?

Oggi – è vero – abbiamo bisogno di una nuova classe dirigente, ma chi è in grado di crearla? Da una parte i ladri, dall’altra i sognatori.

Ma sì, compriamoci (se abbiamo i soldi per averla) una bella Smart elettrica e sogniamo beati: siamo fra i pochi, veri salvatori del Pianeta!

 

Carlo Bertani

Fonte: http://carlobertani.blogspot.it

Link: http://carlobertani.blogspot.it/2017/01/e-trovala-una-bella-storia-da-raccontare.html

17.01.2017

 

(1) http://www.arni.it/attivita/padova_venezia.htm

(2) http://www.arni.it/attivita/milano_cremona.htm

(3) http://www.macrolibrarsi.it/ebooks/ebooks-il-futuro-dei-trasporti.php

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