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DI CHRIS HEDGES

truthdig.com

Il Subcomandante Marcos, portavoce degli zapatisti (Ejército Zapatista de Liberación Nacional, o EZLN), ha annunciato che il suo personaggio ribelle non esiste più. «È passato dall’essere un portavoce all’essere una figura d’intrattenimento», ha detto la settimana scorsa. Il suo personaggio, ha detto, ha alimentato una facile narrazione da parte dei mass-media.

Ciò ha trasformato una rivoluzione sociale in un cartone animato. Ha permesso alla stampa commerciale ed al mondo intero di ignorare i leader delle comunità tradizionali e i capi indigeni, creando un movimento intorno ad una personalità fittizia. Il suo personaggio, ha detto, banalizza il movimento. Di conseguenza questo personaggio scompare.

«L’intero sistema, ma soprattutto i suoi mezzi di comunicazione, giocano a creare delle celebrità che in seguito distruggono qualora non si prestino alle loro trame», ha dichiarato Marcos.

Gli zapatisti costituiscono il principale movimento di resistenza degli ultimi due decenni. Si tratta di una risposta concreta al saccheggio, allo stupro del pianeta ed alla sottomissione dei poveri per mano del capitalismo globale. Per poter sopravvivere, hanno ripetutamente dovuto reinventarsi, come ha fatto Marcos la settimana scorsa. Gli zapatisti hanno dato ai movimenti di resistenza sparsi per il mondo una nuova voce, che in parte trova le sue origini nella cultura comunitaria indigena Maya, e un nuovo paradigma per l’azione. Hanno capito che il capitalismo corporativo ha lanciato una guerra contro tutti noi. Ci hanno mostrato come replicare. Gli zapatisti hanno cominciato usando la violenza, ma presto han abbandonato questa via preferendole il lento e faticoso lavoro di costruzione di 32 piccoli comuni, autonomi ed autogestiti. I rappresentanti locali della Juntas de Buen Gobierno, o Consiglio del Buon Governo, che non è riconosciuto dal governo messicano, presiedono queste comunità zapatiste indipendenti. I consigli supervisionano i programmi comunitari che distribuiscono prodotti alimentari, istituiscono cliniche e scuole e incassano le tasse. Le risorse sono destinate a coloro che vivono nelle comunità, non alle multinazionali che vengono a sfruttarle. E in questo gli zapatisti ci consentono di guardare al futuro consci di avere per lo meno una possibilità di sopravvivenza.

«Il personaggio è stato inventato, e ora i suoi inventori, gli zapatisti, lo stanno distruggendo», ha detto il portavoce dell’EZLN a circa 1.000 persone che si sono radunate il 24 maggio nel villaggio di La Realidad per la commemorazione di un insegnante zapatista, José Luis López Solís, che è stato assassinato da forze paramilitari messicane. «Ci siamo resi conto che ormai il fantoccio dalle sembianze umane, il personaggio, l’ologramma, non è più necessario. Più volte abbiamo pianificato questo passo, e più volte abbiamo rimandato la decisione aspettando il giusto momento, il giusto periodo e geografia per mostrare ciò che siamo veramente a coloro che davvero sono interessati ad ascoltare».

L’assassinio, avvenuto il 2 maggio, del docente conosciuto con il nome di battaglia di “Galeano”, sembra essere stato parte di un piano ordito da un gruppo paramilitare alleato del governo, CIOAC-H, per assassinare i leader locali zapatisti e distruggere l’auto-governo delle enclavi zapatiste. Il Fray Bartolome Human Rights Center ha reso noto che 15 civili zapatisti disarmati sono stati feriti lo scorso 2 maggio. Altri attacchi posti in essere quello stesso giorno hanno distrutto una clinica zapatista, una scuola e tre veicoli.

Il messaggio di Marcos del mese scorso ha rappresentato la sua prima apparizione pubblica dal 2009. Ha parlato alla folla sotto un acquazzone, all’alba del 25 maggio. È stato il volto pubblico degli zapatisti sin da quando il gruppo è nato come forza insurrezionale, il 1° gennaio 1994, in Chiapas, lo stato più meridionale del Messico. Marcos, che è meticccio piuttosto che Maya, ha parlato della sua ascesa come figura mediatica in seguito alla rivolta e di come il movimento aveva in questo modo risposto alle richieste (l’identificazione di un leader) di una stampa che distorce la realtà per adattarla alle sue narrazioni per famiglie.

«Solo pochi giorni dopo [dopo la rivolta], con il sangue dei nostri caduti ancora fresco nelle vie della città, ci siamo resi conto che chi stava al di fuori non si era accorto affatto di noi.
Abituati a guardare gli indigeni dall’alto verso il basso, non hanno saputo alzare lo sguardo per guardarci.
Abituati ad umiliarci, i loro cuori non hanno capito la nostra ribellione dignitosa.
I loro occhi erano fissi esclusivamente sul meticcio col balaclava (passamontagna), vale a dire, è come se non guardassero.
I nostri capi ci hanno detto allora:
Dato che riescono soltanto a vedere la loro piccolezza, cerchiamo di offrirgli qualcuno piccolo quanto loro, in modo che possano percepirlo e che attraverso di lui arrivino a vedere tutti noi».

Cominciò allora una complessa manovra di distrazione, un trucco terribile e meraviglioso, un gioco malizioso rivolto ai nostri cuori indigeni, la conoscenza indigena che sfida la modernità in uno dei suoi bastioni: i media.
Prendeva così vita il personaggio detto “Marcos”.
Il movimento clandestino cominciò, come tutte le ribellioni, con un pugno di idealisti.

«Quando il primo gruppo si è formato, nel 1983-1984, vivevamo nella parte più impenetrabile della giungla», ha detto Marcos in “Ricordando Dieci anni di Zapatismo”, un documentario prodotto dal Chiapas Independent Media Center e da Free Speech Radio News. «Stiamo parlando di un gruppo di quattro o cinque, forse sei persone, che ripetono a se stesse ogni giorno “questa è la cosa giusta da fare”, “la cosa giusta da fare”. Non c’era niente al mondo che ci dicesse quale fosse la giusta cosa da fare. Sognavamo che un giorno tutto quello che stavamo facendo avrebbe assunto un significato importante».

All’alba del 1° Gennaio 1994, i ribelli armati prendevano il controllo di oltre cinque tra le principali città del Chiapas. Era il giorno dell’entrata in vigore del North American Free Trade Agreement (NAFTA – Trattato per il libero commercio in America del Nord). L’EZLN ha annunciato che non avrebbe più riconosciuto la legittimità del governo messicano. Ha denunciato il NAFTA come un nuovo veicolo per ampliare la disuguaglianza tra ricchi e poveri, mostrando una profonda comprensione degli accordi di libero scambio che molti negli Stati Uniti non hanno avuto. Ha detto di aver fatto ricorso alla violenza perché i mezzi pacifici di protesta avevano fallito. Il governo messicano, allarmato e sorpreso, ha inviato in Chiapas diverse migliaia di membri delle forze armate e della polizia per stroncare la rivolta. L’esercito ha distribuito cibo ai contadini poveri. Ha arrestato parecchie persone. Molte sono state torturate. Alcune uccise. Sono seguiti 12 giorni di pesanti combattimenti in cui circa 200 persone sono morte. A febbraio gli zapatisti, che avevano sperato di innescare una rivoluzione a livello nazionale e che stavano allora vacillando sotto l’assalto militare, hanno accettato di negoziare.

La maggior parte di loro si era già trincerata nella giungla circostante. L’insurrezione, ha detto Marcos, rispondeva ad una fondamentale scelta esistenziale. Ne ha parlato durante la commemorazione, nel mese scorso, del compagno assassinato:

«Dovremmo preparare coloro che verranno dopo di noi per la via della morte?
Dovremmo formare nuovi e migliori soldati?
Investire i nostri sforzi nel migliorare la nostra macchina da guerra martoriata?
Simulare propensione al dialogo e una predisposizione verso la pace mentre in realtà pianifichiamo nuovi attacchi?
Uccidere o morire è la nostra unica alternativa?
O dovremmo ricostruire il percorso della vita, che coloro che stanno in alto hanno rotto e continuano a rompere?
…Avremmo dovuto decorare, con il nostro sangue, il cammino che altri hanno tracciato verso il Potere, o invece soffermare il nostro cuore e il nostro sguardo su ciò che siamo, verso coloro che sono ciò che noi siamo, cioè le popolazioni indigene, custodi della terra e della memoria?
Nessuno ci ha fatto caso allora, ma in quei balbettii che erano i nostri primi comunicati, facevamo notare che il nostro dilemma non era tra negoziare e combattere, ma tra morire e vivere.
…E abbiamo scelto.
Così, piuttosto che dedicare noi stessi a formare guerriglieri, soldati e reggimenti, abbiamo sviluppato l’istruzione e la sanità, che hanno permesso di costruire le fondamenta di quella autonomia che oggi stupisce e affascina il mondo intero.
Invece di costruire caserme, migliorare le nostre armi e costruire muri e trincee, abbiamo costruito scuole, ospedali e centri sanitari, migliorando le nostre condizioni di vita.
Invece di lottare per un posto nel Partenone dei morti provenienti dalle classi povere, abbiamo scelto di costruire la vita.
Tutto questo nel bel mezzo di una guerra che non era certo meno letale solo in quanto silenziosa».

Il passaggio del movimento dalla violenza alla disobbedienza civile non violenta è stato evidenziato durante la commemorazione. I leader zapatisti hanno detto che conoscevano l’identità delle guardie che hanno effettuato gli attacchi. Ma alla folla è stato chiesto di non vendicarsi sugli assassini, i quali, a loro volta, erano stati manipolati per uccidere al servizio dello Stato. L’attenzione doveva rimanere sullo smantellamento del sistema di capitalismo globale nel suo complesso. Il passaggio dalla violenza alla nonviolenza, approccio seguito dall’altra parte del globo dal Congresso Nazionale Africano (ANC), è quello che ha dato agli zapatisti forza e resistenza. Marcos ha sottolineato questo punto:

«La maniera più semplice per ottenere giustizia è la vendetta. Ma è una giustizia effimera, in quanto distribuisce l’impunità; punendo uno, assolve gli altri.
Quello che vogliamo, quello per cui lottiamo, non lo otterremo trovando gli assassini di Galeano e punendoli (non faremo questo errore).
La nostra ricerca paziente e ostinata è diretta verso la verità, non al sollievo momentaneo .
La vera giustizia ha a che fare con il compagno sepolto Galeano.
Non dobbiamo chiederci cosa fare con la sua morte, ma cosa fare con la sua vita».

Questa trasformazione dall’EZLN, descritta dal romanziere messicano Alejandro Reyes in qualche astuto articolo, è un punto fondamentale da tenere bene in mente, se siamo alla ricerca di meccanismi per abbandonare il sistema di stato capitalista e creare delle comunità autonome. Il fine non è quello di distruggere bensì di trasformare. Questo è il motivo per cui la violenza è controproducente. Anche noi dobbiamo lavorare per generare un cambiamento radicale nelle coscienze. Per questo ci vorrà del tempo, in quanto è necessario coinvolgere un numero sempre maggiore di persone nel praticare atti di disobbedienza civile.

Tutti noi dobbiamo lavorare per rendere i cittadini consapevoli dei meccanismi di potere esistenti. L’ adesione alla nonviolenza non ci salverà dalla violenza dello stato e dei sicari e vigilantes assoldati dallo Stato. Ma la nonviolenza rende il pentimento e la conversione, anche tra i nostri oppressori, possibile. È la conversione l’obiettivo principale. Come ha detto Marcos:

«Chissà… Forse abbiamo sbagliato nello scegliere di coltivare la vita invece di adorare la morte.
Ma abbiamo preso questa decisione senza ascoltare le voci dall’esterno. Senza ascoltare coloro che chiedono e insistono su di una lotta fino alla morte, fino a quando non saranno gli avversari ad essere moribondi.
Abbiamo scelto guardandoci dentro e ascoltandoci, nel rispetto di quel Votan collettivo che siamo».
Abbiamo scelto la rivolta, il che equivale a dire, la vita».

Chris Hedges

Fonte: www.truthdig.com

Link: http://www.truthdig.com/report/item/we_all_must_become_zapatistas_20140601?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%253A+Truthdig%252FChrisHedges+Chris+Hedges+on+Truthdig

1.06.2014

Traduzione a cura di ROBICH per www.Comedonchisciotte.org

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