DOPO PARIGI, UN PREMIO NOBEL PER LA PACE A PUTIN ?

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DI BARRY LANDO

counterpunch.org

E se uno dei risultati indiretti dei terrificanti attacchi a Parigi potesse essere un premio Nobel per la pace al presidente Russo Vladimir Putin? L’idea potrebbe non essere così oltraggiosa e oscena come potrebbe sembrare a qualcuno a prima vista. Ed ecco perchè:

L’incredibilmente impopolare presidente francese Francois Hollande ha ordinato di stringere la morsa sui sospetti spalleggiatori dell’ISIS e su tutti i gruppi con legami jihadisti sull’intero territorio francese. Ha dispiegato gli aerei da combattimento per eseguire i più punitivi tra i raids contro l’ISIS che siano mai stati eseguiti fino ad oggi. Se l’ISIS vuole la guerra, avrà la guerra, ha dichiarato Hollande, in maniera non dissimile da George W. Bush all’indomani dell’11 Settembre.

Il problema è che queste contromisure interne, ed ulteriori misure draconiane che seguiranno senz’altro, sebbene comprensibili, sortiranno come effetto un inasprimento delle tensioni tra la popolazione francese Musulmana e non Musulmana. Esattamente ciò che desiderano i jihadisti.

In secondo luogo, nonostante il fatto che i raid aerei sulla Siria siano capaci di far sembrare (stranamente) Hollande così deciso e “presidenziale”, non c’è modo che l’economia francese in cattive acque, o l’esercito francese, la cui presenza è ormai parecchio ridotta in Nord Africa e Medio Oriente, possano sostenere attacchi di questo tipo.

In ogni caso, c’è un generale consenso sul fatto che gli attacchi aerei da soli non distruggeranno lo Stato Islamico. Servono soldati sul campo. E né la Francia né i suoi alleati hanno alcuna voglia di dispiegare truppe in grossi numeri in Siria e/o Iraq. Solo di dimostrare che hanno comunque apportato un qualche contributo.

Il passo cruciale verso la distruzione dell’ISIS, o almeno verso la riduzione della minaccia terroristica, è mettere fine alla guerra in Siria, non attraverso le armi, bensì la diplomazia. E’anche l’unico modo di ridurre l’emorragia di rifugiati che inonda l’Europa.

E se le azioni di Vladimir Putin si dimostrassero decisive per porre fine al conflitto?

L’argomento chiave per un congelamento delle negoziazioni è stato l’insistenza dei nemici di Assad sul fatto che la dipartita del dittatore siriano sia precondizione di ogni possibile negoziazione. Solo lui è il nemico.

“E’ ora che Assad vada via”, ha proclamato il Segretario di Stato USA Hillary Clinton il 18 Agosto 2011.

“E’ ora che il Presidente Assad si faccia da parte”, aveva annunciato Barack Obama.

Ma il Presidente Americano non era motivato a mettere molta vera forza dietro la sua retorica.

I Sauditi, insieme agli altri Stati del Golfo hanno procurato la maggior parte delle armi e dei finanziamenti ai gruppi Sunniti radicali che contrastano Assad. Ma, per come la vedono loro, le ragioni del conflitto non hanno nulla a che vedere con la Democrazia. E’ solo un fronte nella sanguinaria lotta tra Sunniti e Sciti caratteristica del Medio Oriente in senso largo, una battaglia riaccesa dalle azioni disastrose dell’America che si sono susseguite dopo l’invasione dell’Iraq a firma di George W. Bush. Il risultato è stato una Siria spezzata da una guerra per procura di livelli incredibilmente sanguinari.

Nel corso dell’anno passato Assad sembrava indebolirsi. Aveva perso ampie porzioni del territorio del paese, i suoi sostenitori morali erano demoralizzati, nell’esercito montavano le diserzioni. Invece il massacro è continuato.

Poi a Settembre Vladimir Putin ha deciso di capovolgere le sorti: la Russia si è dimostrata determinata a continuare a sostenere Assad in quanto legittimo governante della Siria. E’ stato infatti un alleato di lungo corso, praticamente l’unico vero alleato dei Russi nel mondo Arabo. E, diversamente da Obama, Putin ha fatto subito coincidere i fatti alla retorica; massicci rifornimenti in armi, artiglieria, carri armati, nonché il dispiegamento di 50 jet Russi da guerra con piloti e personale di terra e truppe a supporto. E’ stato chiaro fin da subito che non erano lì solo per bersagliare le posizioni dell’ISIS, ma allo stesso modo le roccaforti di qualsiasi gruppo ribelle opposto ad Assad.

Di conseguenza anche gli Iraniani hanno aumentato il livello del loro supporto. L’esercito Siriano è stato in grado di lanciare nuove offensive. Presto Assad è uscito dalla situazione di scacco in cui era stato cacciato in precedenza.

Colti alla sprovvista, USA e alleati sono rimasti lì a balbettare lamentele su questa oltraggiosa interferenza dei Russi, destinata a nient’altro che prolungare il conflitto. Come già in Ucraina, Putin ha pericolosamente riacceso la guerra fredda. Era determinato a estendere il potere russo anche al costo del rischio di un conflitto armato contro l’Occidente.

Politici e cortigiani assortiti degli Stati Uniti si sono alzati in coro per chiedere l’immediato dispiegamento di maggiori forze nella regione, chiedendo di mostrare i muscoli. La NATO doveva intervenire e rimettere l’irriverente Putin al posto suo.

In seguito c’è stata la visita a sorpresa di un giorno di Assad a Mosca, per incontrare Putin. Putin nell’occasione ha dichiarato: “Ci sentiamo di dire che una soluzione a lungo termine può essere realisticamente raggiunta sulla base degli ultimi sviluppi militari e di un processo politico che veda la partecipazione di tutti gli attori politici, etnici e religiosi”.

“E’ una decisione che tocca esclusivamente al popolo siriano. La Siria è per noi una nazione amica. E l’appoggeremo sempre, non solo militarmente ma anche politicamente”.

L’occidente si è ritrovato ancora più marginalizzato mentre Putin guadagnava il centro delle scene. Quasi come un maestro di scuola che va a richiamare i bambini all’ordine. Sta a lui dettare i termini sui quali impostare le negoziazioni. E’ suo il ruolo del pacificatore.

Per quanto sia tuttora prestissimo per dirlo, la scommessa di Putin può funzionare.

Il maggior punto di attrito, come abbiamo già detto, è stata la determinazione da parte degli USA e degli altri nemici di Assad sul fatto che quest’ultimo dovesse allontanarsi prima che qualunque negoziazione potesse avere luogo. Il rifiuto di Putin sull’accettazione di questa precondizione è stato interpretato a Washington e Parigi come sanguinaria determinazione del leader russo per danneggiare USA e alleati, senza pensare alle conseguenze.

Ma le ragioni di Putin invece sono parecchio sensate: nel caso di una improvvisa scomparsa di Assad, ha avvertito Putin, il risultato sarebbe un pericoloso vuoto politico. Inizierebbero sanguinarie faide di potere tra vari gruppi ribelli. I più forti, organizzati e disciplinati a un certo punto l’avrebbero vinta. E ciò significa ISIS e gruppi alleati jihadisti.

Non esiste niente di organizzato. Gli ingenui tentativi degli USA e alleati al seguito di armare i cosiddetti ribelli “moderati” si sono rivelati un fallimento disastroso, un sostituto di fortuna per l’assenza di una seria politica per la gestione della crisi, come Putin stesso ha detto senza mezzi termini.

Putin ha anche denunciato il modo in cui Washington, a guida degli altri alleati, ha rimosso dal potere Muammar Gheddafi, senza pensare minimamente al caos che ne ‘ risultato e che continua tuttora.

Come si può pensare che Putin se ne sarebbe stato fermo a guardare mentre gli USA, la Francia ed il resto degli alleati ripetevano ciecamente lo stesso disastro in Siria, creando l’ennesimo porto franco dei jihadisti, che hanno legami anche con gli Islamici radicali in Russia.

D’altro canto, nonostante il fatto che Putin insista sulla necessità che Assad prenda parte alle negoziazioni, ha fatto notare che la Russia non si è sposata per sempre con il dittatore Siriano. Non c’è motivo per cui non possa farsi da parte, o essere messo da parte, in una fase successiva. In fase di negoziazione, Putin, sebbene non è detto che riesca a dirigere del tutto i giochi, avrà di sicuro parecchia più influenza che non gli USA.

Le vedute di Putin infatti suonano decisamente chiare ed efficaci se paragonate alle dichiarazioni confuse, poco convinte, che emanano da Washington. Gli USA infatti lavorano spesso con obiettivi incrociati per diversi obiettivi non sempre coincidenti dei loro presunti alleati. I Sauditi e gli Stati del Golfo, ad esempio, appoggiano proprio gli stessi islamisti radicali che gli USA dichiarano di voler contenere. Poi ci sono i Turchi, che attaccano le forze curde in Siria, quelle stesse forze che fino ad oggi sono state le più efficaci nella lotta all’ISIS.

Negoziazioni preliminari finalizzate a mettere fine alla guerra civile siriana stavano timidamente mettendosi in moto. Poi sono arrivati gli attacchi di Parigi del Venerdì scorso. Nello stesso giorno i delegati di 17 paesi impegnati a ciarlare di condizioni e procedure hanno superato abbastanza delle loro differenze di vedute per convincersi ad agire.

Hanno adottato una agenda che lascerà che i gruppi di opposizione lavorino a una proposta per una nuova Costituzione e che un nuovo Governo sia eletto entro Maggio 2017. Un cessate il fuoco tra le forze governative di Damasco e i gruppi di opposizione riconosciuti sarebbe ipotizzabile nel giro di 6 mesi.

America ed alleati hanno acconsentito alla richiesta di Putin che Assad prenda parte attiva alle trattative. Quasi da un momento all’altro lo slogan di Putin è lo stesso dei nuovi alleati a Washington, Parigi, Londra e il resto delle capitali occidentali: Il nemico non è Assad, è l’ISIS!

Chiaramente restano enormi problemi da superare. Ad esempio, ISIS a parte, quali dei vari gruppi jihadisti in Siria sono da considerarsi “terroristi” e di conseguenza restino da debellare, attaccandoli militarmente, anche dopo che un cessate il fuoco sarà dichiarato? Oltre che chiaramente non concedergli nessuna voce in sede di negoziazione.

Un’altra cosa tutt’altro che chiara è come si farà a organizzare elezioni genuinamente democratiche sulle macerie ancora fumanti di una nazione devastata che fino ad oggi ha conosciuto solo dittatura. Come del resto non è chiaro se Assad, o chi per lui, possano essere dei candidati.

Infine esiste anche il pericolo che se Assad e i suoi sostenitori Alawiti fossero estromessi dall’ufficio il paese potrebbe precipitare in violenze settarie e pulizie etniche, come già verificatosi in Iraq.

Senza considerare il fatto che mettere fine al conflitto sarebbe solo il primo passo verso la distruzione definitiva dell’ISIS.

I jihadisti controllano ancora ampie fette dell’Iraq e si sono metastatizzati in vaste aree di Medio Oriente ed Africa. Particolarmente pericoloso è lo spazio che si sono ritagliati in una Libia dove non esiste più legge nè un Governo vero e proprio.

Ironicamente, non è stato solo l’attacco a Parigi a materializzare le negoziazioni di Vienna, ma allo stesso modo la distruzione per mano dell’ISIS del volo charter russo dall’Egitto, che ha ucciso tutti i 224 passeggeri a bordo. I russi hanno annunciato dopo due settimane che la causa è stata una bomba a bordo. Putin è stato cauto prima di annunciare che si trattava di rappresaglia per gli attacchi russi contro l’ISIS in Siria. I Russi patriottici avranno risposto con entusiasmo alla mossa del loro leader in aiuto alla Siria mail loro sostegno si sarebbe sciolto come neve al sole se avessero iniziato a temere di rischiare di pagare un prezzo terribile a casa come ripercussione del coraggio di Putin all’estero.

Niente potrebbe aiutare politicamente Putin più dell’emergere da quella che potrebbe essere additata come una avventura militare disastrosa, un remake delle catastrofiche esperienze russe in Afghanistan, che emergere dalla carneficina Siriana come pacificatore in capo.

Ed ecco che arriviamo alla plausibilità del premio Nobel per Vladimir Putin.

Putin può non essere un personaggio troppo piacevole, se non un dittatore arrogante, corrotto e bullo, ma è stata la sua mossa decisiva in Siria questo autunno che ha dato finalmente una svolta al problema. E’ stata la sua assoluta determinazione a mettere fine a una gestione basata su vaghe ed effimere azioni di USA e alleati. Incoraggiato dagli attacchi terroristici dell’ISIS a Parigi e dall’abbattimento del volo russo, Putin è forse sulla giusta pista per lanciare il processo di pace.

Almeno, altro non possiamo fare che augurarcelo. Forse non è ancora chiaro ma se in qualche modo le linee guida approssimative tracciate a Vienna porteranno a una fine del massacro nessuno potrebbe di certo obiettare che una eventuale decisione del comitato di Stoccolma di assegnare il premio Nobel a Putin non sarebbe di certo più oltraggiosa di quella di assegnarla a un neo-eletto Barack Obama sulla scorta soltanto di qualche discorso commovente, decisione che Obama stesso ha ammesso come assurda?

Barry Lando

Fonte: www.counterpunch.org

Link: http://www.counterpunch.org/2015/11/19/after-paris-a-peace-prize-for-putin/

19.11.2015

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI

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