Donald Trump e la megalomania spiegata agli elettori

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DI NICOLAS BONNAL

dedefensa.org

Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche trovato volontà di potenza … (Nietzsche)

Definiamo innanzitutto la megalomania: è l’ambizione personale spinta all’estremo, associata a una grande efficienza sul campo («bisogna poter volere» dice Nietzsche). L’aviatore, l’invasore, il grande musicista sono posseduti dalla megalomania. Ora questa megalomania è proibita nel postmodernismo.

La nostra riflessione sulla megalomania si nutre della lettura appassionata di Francis Fukuyama (un vero nietzschiano tanto il libro ha fatto «rimuginare»). Questo professore insultato mille volte dalla classe intellettuale francese o italiana (che non ha più granchè da dirci), ha opportunatamente e semplicemente stabilito o ricordato alcuni fatti importanti. Per Fukuyama, «l’imprenditore capitalista descritto da Joseph Schumpeter non è l’ultimo uomo di Nietzsche».

L’ultimo uomo di Nietzsche assomiglia di più al nostro elettore socialista, democratico, all’albero di bambini di Kundera, al nostro abbonato a canal plus. Cito il maestro: «Ecco! Vi mostro l’ultimo uomo». «Amore ? Creazione ? Desiderio ? Stella ? Cosa ?». Così domanda l’ultimo uomo facendo l’occhiolino. La terra diventerà allora più piccola e su di lei saltellerà l’ultimo uomo che rimpicciolisce tutto. La sua razza è indistruttibile come quella del pidocchio; l’ultimo uomo vive per molto tempo. «Abbiamo inventato la felicità» – dicono gli ultimi uomini, facendo l’occhiolino. È il francese medio attuale, così come l’ha denunciato Céline al suo tempo. Come se avesse previsto l’instancabile ferita sociale dell’RTT [Riduzione del tempo di lavoro], Nietzsche aggiunge: «Si lavora ancora perchè il lavoro è una distrazione. Ma si assicura che il diversivo non indebolisca troppo».

Fukuyama preciserà poi cos’è un borghese: «Il borghese è una creazione intenzionale dell’esordiente pensiero moderno, uno sforzo dell’ingegneria sociale che cercava di stabilire la pace sociale cambiando la natura stessa dell’uomo». Questa definizione prodigiosa di Molière spiega da sola tutta la mediocrità del progetto rivoluzionario francese (il cittadino americano è più stimabile, se non altro perché, secondo Michel Marmin, è il vero erede dei nostri ultimi grandi re). Poi, «la megalomania può manifestarsi nel tiranno che invade e riduce in schiavitù un popolo vicino perché riconosca la sua autorità, come nel pianista che vuole essere riconosciuto come il miglior interprete di Beethoven. Il contrario è l’isotomia, il desiderio di essere riconosciuti uguali agli altri».

Il grande uomo d’affari americano, questo barone rapinatore che trionfa sul suo rivale in un duello di locomotive, è al di fuori della mediocrità – Vacher de Lapouge l’ha riconosciuto per primo, come Gustave Le Bon, affascinato dallo sviluppo economico e antropologico dell’America. Anche Jules Verne non ha smesso di vantare i meriti razziali, militari e affaristici degli anglosassoni di quell’epoca. Il francese diventava il domestico Passe-partout… Sulla nostra volontà egalizzatrice e mediocre, Nietzsche scriveva queste tenere frasi: «Non si diventa né più ricchi né più poveri: entrambe le cose sono troppo opprimenti. Chi dovrà ancora governare? Chi dovrà obbedire ancora? Entrambe le cose sono troppo opprimenti. Nessun pastore e un solo gregge! Ciascuno vuole la stessa cosa, tutti sono uguali: chi prova altri sentimenti va volentieri al manicomio» (Zarathoustra, I, 5). Anche in questo ci avviciniamo a Trump. Nel suo libro sull’arte di arricchirsi (che potrebbe essere reintitolato l’arte di diventare grande, gigante e geniale) evoca in tre pagine il destino sorprendente del pianista canadese Glenn Gould, reputato il più grande interprete di Bach e delle variazioni di Goldberg, che passa alla storia in un’ora nel 1955, ma dopo aver torturato, ricorda Trump, il suo strumento per vent’anni!

La megalomania è indispensabile in un sistema capitalista, ricorda Fukuyama. Ma – è lì il punto debole! – la megalomania moderna e postmoderna dovrà applicarsi esclusivamente a dei domini non politici o militari. Va bene per lo sport, per la moda e gli affari, ma è pericolosa per tutto il resto.

Fukuyama (capitolo 29): «è chiaro che la megalomania è una passione troppo pericolosa applicata alla vita politica, perché se essere riconosciuti superiori da una persona può risultare soddisfacente, essere riconosciuti tale da una massa di persone risulterà più soddisfacente». E’ evidente che la megalomania applicata alla politica significa guerra, prigione e dittatura, invasione, Iraq, Guantanamo. Non c’è alcun bisogno di dittatura. Ma in una democrazia occidentale che si considera «perfetta come nessun altro sistema prima», la stupidità sistematica non ha finito di esercitarsi, soprattutto con una Hillary che danza su un cadavere libico e paragona Putin a Hitler. Trump ha evidenziato questo aspetto, queste guerre umanitarie che sono criminali e inutili, e glielo si rimprovera.

Guy Debord: «Quando la società che si dichiara democratica è giunta allo stadio dello spettacolare integrato, pare essere riconosciuta ovunque come la realizzazione di una perfezione fragile. Di modo che, essendo fragile, non deve più essere esposta ad attacchi; del resto non è più attaccabile, perché perfetta come nessun’altra mai». La democrazia stessa, a suon di Bush, di Sarkozy o di Merkel è diventata megalomania. Si innescano guerre, si predica la morale a colpi di guerre e carestie (secondo Madeleine Albright la morte dei bambini iracheni era un prezzo che valeva la pena pagare) e si può rimanere al potere più a lungo di Roosevelt. Prima di attaccare Trump, noi giornalisti faremo bene a ricordare che Bruxelles ha confiscato il potere alle nazioni, che Kohl è restato al potere per 16 anni, che la Merkel ci resterà per vent’anni se darà il diritto di voto ai suoi rifugiati, che i leader boliviani non lasciano più il potere, che Putin ci resterà per altri vent’anni, che il marito di Clinton è gia stato presidente, che il fratello e il padre di Bush sono già stati presidenti! Non siamo alla fine delle nostre pene, specialmente ora che gli attentati si moltiplicano per facilitare qui o là, nelle democrazie più infelici, la rimonta nei sondaggi, le rielezioni o l’abolizione delle stesse inutili elezioni.

Fukuyama si richiama anche a Machiavelli, il Machiavelli dei Discorsi che elogia coloro che combattono per la gloria e l’onore (a tal proposito cita anche il proverbiale e prussiano Clausewitz): «Per Machiavelli il desiderio di gloria non è appannaggio esclusivo dei principi o degli aristocratici. Ha influenzato anche i repubblicani, come nel caso dei rapaci imperi greco e romano, nei quali la partecipazione democratica aveva l’effetto di aumentare l’ambizione dello Stato e di poter usufruire di un più grande strumento militare con cui espandersi». Almeno uno che ha letto Tucidide.

Altri pensatori si richiamano al pericolo della guerra democratica: Tocqueville e il sociologo russo-americano Pitirim Soroki, per esempio. Le migliaia di basi USA nel mondo, le centinaia di guerre USA nel mondo dopo il 1945 non cessano di confermare la crudeltà democratica, dopo gli episodi impero-umanitari (cf. Hobson) di Palmerston-Churchill e del nostro Ferry. Riprendiamo Tocqueville che scrive due secoli prima della Nato: «Tutti gli ambiziosi che fanno parte di un esercito democratico desiderano quindi la guerra con veemenza, perché la guerra svuota le piazze e permette infine di violare questo diritto antico, che è il solo privilegio naturale alla democrazia. Arriviamo così alla singolare conclusione che tutti gli eserciti che desiderano più ardentemente la guerra sono eserciti democratici».

A proposito della guerra contro il terrorismo che non finirà mai (leggete il libro di Gore Vidal) ricordiamo questa sinistra osservazione del maestro: «Non esiste lunga guerra, in un paese democratico, che non metta in pericolo la libertà». Per quanto riguarda Trump, che Fukuyama cita comunque due volte nel suo libro (e senza ostilità: semplicemente The Donald è The Donald, e non possiamo ignorarlo quando si parla di megalomania, di fine della storia e di business), possiamo dire questo: – La sua megalomania applicata alla politica mette paura e non è tollerabile. Evoca qualla di Vladimir Putin, quella di Hitler che fa paura a Hillary e ai giornalisti (abbondano gli aspiranti Hitler in questa fine della storia!). Trump non sembra avere il profilo del politico mediocre che, benché anti-immigrati, è in grado di partecipare a un governo europeo, austriaco o italiano, per esempio. La sua stravaganza avrebbe dovuto restare applicata agli affari, al lusso e del gossip. Poiché così non è, The Donald verrà punito. E’ uscito dai suoi binari e minaccia l’archetipo e la pace pubblica. La rupe Tarpea è prossima al … Campidoglio?

Ma Francis Fukuyama, amabile e distinto recensore della nostra epoca postborghese, attendeva con ottimismo un Trump, e l’ha predetto in questi termini nobili e ispirati:

«Noi diventeremo gli ultimi uomini. Ma gli esseri umani si ribelleranno a questo pensiero. Si ribelleranno all’idea di essere membri indifferenziati di uno Stato universale e omogeneo, lo stesso in tutto il mondo. Vogliono diventare cittadini piuttosto che borghesi, trovando la via della schiavitù senza padrone – la via del consumo razionale – finalmente noiosa».

The Donald è meglio di così, per questo verrà impiccato.

 

Nicolas Bonnal

Fonte: www.dedefensa.org

Link: http://www.dedefensa.org/article/trump-et-la-megalothymie-expliquee-aux-electeurs

18.11.2016

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di VOLLMOND

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