DE-ORIENTALIZZARE IL NOSTRO SGUARDO SULLA SIRIA E SULLA TURCHIA

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DI PAOLO MOSSETTI
libernazione.it

Orientalismo. Titolo del celeberrimo saggio di Edward Said pubblicato nel 1978. Da Wikipedia: “Utilizzando e rielaborando il pensiero di Gramsci e Foucault tra gli altri, Said mette in luce il carattere di parzialità, quando non mistificatorio o privo di fondamenti oggettivi, contenuti nella nozione di “Oriente”, le sue determinazioni storiche e i suoi presupposti ideologici. L’”Oriente” […], non sarebbe il nome di una qualche entità geografica o culturale concretamente determinabile, ma uno strumento utilizzato dalle culture di matrice europea innanzi tutto per poter costruire la propria identità di “Occidente” e, in parallelo, per ingabbiare le cosiddette culture orientali in formule stereotipe e generalizzanti, quando non disumanizzanti.”

Due modeste riflessioni sul nostro ruolo di “spettatori” rispetto a quanto succedendo in Siria e in Turchia.1.

Partiamo dai nostri vicini più prossimi, i giovani turchi. Non e’ questo lo spazio adeguato per analizzare nel dettaglio le ragioni della loro protesta. Ma ci basti immaginare se quanto accade oggi a Istanbul fosse successo in una città italiana. Il primo passo sarebbe stato – ne sono sicuro – , far scrivere a Sofri, a Saviano o a Calabresi un papello lungo così sulla necessità di distinguere i manifestanti pacifici dalle  “poche centinaia di idioti” che egemonizzerebbero le proteste:

“I passamontagna, i sampietrini, le vetrine che vanno in frantumi, sono le solite, vecchie reazioni insopportabili… Poliziotti isolati sbattuti a terra e pestati da manipoli di violenti: è una scena che non deve più accadere.” (Fra’ Roberto da Santachiara, La Repubblica, dicembre 2010)

Pretendendo di stabilire una divisione fra buoni e cattivi, salvo poi usare toni ben diversi – ma ugualmente banali – quando si tratta di osservare ciò che avviene in contesti Altri da noi, al di fuori dell’Italia e dell’Unione Europea: “Ogni post, ogni tweet, ogni foto e ogni telecamera difende i manifestanti turchi dalla repressione della polizia autoritaria di Erdoğan. Ogni luce è una resistenza, ogni ombra è un arresto, una tortura, un disperso.”

Ma lasciamo  pure stare la mediocrità’ di certi santoni mediatici. In generale si potrebbe ben tracciare una sorta di Teoria dell’Accettazione Democratica, per cui la distanza dai luoghi di rivolta e’ direttamente proporzionale alla “democraticita’ ” dei rivoltosi.

Come ha spiegato brillantemente lo scrittore Federico Campagna su Facebook, paragonando le critiche ricevute dai NOTAV e la diversa percezione degli scontri per Gezi Park:
“Al di la’ del simile casus belli parco/montagna, la somiglianza principale sta nello scontro tra l’autismo di un governo centrale, che si esprime soprattutto attraverso la sua polizia, e quella che una decade fa si sarebbe chiamata la ‘moltitudine’: ovvero una sezione del corpo sociale che si presenta e rappresenta come il popolo insorgente. Sia in Val di Susa che a Istanbul, l’autorita’ centrale si rapporta militarmente con una ‘moltitudine’ la cui insorgenza non e’ militare (non vogliono fare la rivoluzione), ma essenzialmente riformista (vogliono espandere gli spazi esistenti di democrazia). La cosa buffa e triste, e’ che sono proprio i cosiddetti ‘riformisti’ centro-sinistri italiani (che in realtà non hanno voglia di riformare proprio un bel niente) a dare man forte alla repressione poliziesca dei veri riformisti insorgenti. In Turchia, certo, dietro Erdogan c’e’ anche la palude religiosa che in Egitto si esprime tramite i fratelli musulmani e affini – ma e’ davvero cosi’ diversa dalla palude democristiana che tuttora appesta l’Italia? Le vacche nere restano nere anche di notte.”
Mentre sono gli Altri, in Oriente, a meritarsi una rivolta diffusa e spesso violenta (e la nostra solidarietà virtuale), da questo lato del Mediterraneo il nostro sviluppo economico, la nostra cultura retrospettiva, il nostro essere “Occidente democratico” indurrebbero maggiore diversificazione, riflessione, un’accurata suddivisione delle ragioni della protesta.

Guardando più a fondo nelle nostre piaghe, quello che sta succedendo ad Istanbul è a mio avviso una buona lezione anche per chi di noi e’ nato in Meridione. Quante volte ci siamo sentiti dire: “Sì al Sud abbiamo tanti problemi, ma il clima, il cibo e bellezza ci impigriscono, ci rammolliscono?” E in fondo, la povertà endemica è limitata ad alcune zone dimenticate da Dio…

Eppure oggi la città ad essere esplosa e’ Istanbul, un megalopoli di strepitosa bellezza che nulla ha da invidiare a Napoli o Palermo, con una cucina fantastica, un clima splendido. E un’economia invidiabile. Le ingiustizie e le disuguaglianze non mancano, ma di certo a Catanzaro, Palermo e Foggia non ci sono meno motivi per scendere in strada e spaccare tutto. Altro che Gezi Park. Il contesto ambientale influenza sicuramente la nostra psicologia e la nostra socialita’, ma non puo’ tirato in ballo per de-responsabilizzare l’individuo dalle sue scelte, dal suo coraggio o dalla sua vigliaccheria.

Insomma un buon esercizio per il futuro potrebbe essere quello di non orientalizzarci da soli – per usare il termine reso celebre da Said -, di non giustificare la nostra rinuncia, la nostra depressione politica e la nostra mentalità pezzente tirando nel mezzo il romanticismo e la dolcezza del paesaggio.

2.

A proposito della Siria, sembra invece in funzione l’eterno giocattolo a molla dell’Emergenza Umanitaria: dalla parte dei “ribelli” o del Dittatore? Chissà quando si romperà’ questo giocattolino. Si ruppe per qualche tempo durante nel 2003, quando in decine di milioni scesero in piazza contro l’intervento in Iraq – e ugualmente vinsero i falchi, e questo pure dovrebbe far riflettere sull’utilità delle sfilate colorate e pacifiche.

Anche nella scelta semantica si percepisce la rozzezza dello sguardo orientalista: se i ribelli insorgono contro Assad o contro Erdogan sono sintomo di qualche “primavera”. In Occidente, invece, a Londra come a Roma, essi vengono suddivisi in minuziosi compartimenti: ci sono i pacifici e ci sono le minoranze violente, i girotondini e la marcia di Assisi da un lato, gli anarchici e i blac bloc dall’altro etc.

Oggi la Siria e’ diventata insieme al Messico il primo fornitore mondiale di orrori immortalati in video. Ogni giorno emergono impietosi filmati in cui i presunti ‘Ribelli’ scaraventano dai tetti degli ospedali donne e bambini, fucilano adolescenti davanti agli occhi dei genitori, praticano cannibalismo alla luce del sole. Cosa a che fare tutto questo Vi potrei allegare qualche link ma le piattaforme in cui scrivo mi bannerebbero per l’eternità’.

Triste pensare che un connazionale sia andato fino in Siria per immolarsi in nome di Maometto anziché di qualche sacrosanto principio socialista o terzinternazionalista. Qui non c’e’ spazio per approfondite analisi geopolitiche ma la verità e’ che in questa guerra civile – tra le più’ schifose che si siano mai viste  – dovremmo rivalutare il nostro ruolo di “osservatori passivi”, con le nostre ansie da “presa di posizione” ‘- quando non sono annegate nel disinteresse e nella manipolazione totale. L’unica posizione che potremmo prendere, a ben pensarci, e’ quella di non prendere posizione.

Chiunque vinca, tra Assad e i “ribelli”, a perdere saranno i siriani e qualunque causa di giustizia per gli oppressi. Toccherebbe a noi privilegiati, nei limiti dei nostri mezzi, auspicare la loro fuga, e per quanto ci riguarda respingere la propaganda strisciante che ci troviamo in casa.

Ancora una volta, acuminare lo sguardo, de-orientalizzarlo, rifiutare il discorso sull’ “eccezionalismo” di quanto accade all’Altro e conviverci, piuttosto, che l’Altro potremmo essere noi.

Paolo Mossetti
Fonte: http://libernazione.it
Link: http://libernazione.it/de-orientalizzare-il-nostro-sguardo-sulla-siria-e-la-turchia/
21.07.2013

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