A PROPOSITO DI ERRI DE LUCA E DELLA LIBERTA' D'ESPRESSIONE

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DI ANTONIO MORESCO

ilprimoamore.com

Sono solidale con Erri De Luca, sotto processo per avere sostanzialmente affermato che, di fronte alla sordità nei confronti delle ragioni e dei sentimenti di un’intera popolazione, il sabotaggio può essere l’unico modo per fare sentire la propria voce inascoltata e tentare di modificare il corso prevedibile degli eventi. Mettere sotto processo una persona (importa poco che sia scrittore o meno) perché in un’intervista giustifica chi fa uso di cesoie per tagliare reticolati, e questo di fronte all’enormità di questo rifiuto, mi sembra una cosa inaccettabile e grave.

Io non mi sono fatto della velocità un feticcio ideologico negativo. Mi piace la lentezza, ma mi piace anche la velocità. Però qui siamo di fronte a un progetto contestato da un’intera popolazione, da sindaci e da esperti che ne hanno rilevato in modo documentato le gravi pecche e i risvolti negativi legati all’impatto ambientale e alla salute degli abitanti (la montagna d’amianto che si vorrebbe bucare) e che hanno anche presentato progetti alternativi, ma che non sono stati ascoltati. E questo in nome di un’idea astratta di “progresso”, oltre che dei grandi e concreti interessi legati a questa astrazione. Così una persona che si è fatta portavoce di questo motivato rifiuto è finita sotto processo, mentre altre persone, amministratori, tecnici e anche politici di primo piano, che pure hanno ricevuto un mandato elettorale dai cittadini e che quindi dovrebbero ascoltarne le ragioni, sarebbero invece gli eroi positivi del progresso contro i negativi e retrivi abitanti della valle che rifiutano il progresso.

Tutto ciò pone dei gravi interrogativi sul nostro futuro di specie e sulle scelte che bisognerà avere il coraggio e l’immaginazione di fare di fronte al deteriorarsi del nostro rapporto con l’ambiente planetario in cui viviamo, lacera il rapporto tra elettori ed eletti e straccia il velo di una simile democrazia a senso unico.

Perciò -per quanto può valere la mia solidarietà- non posso che essere dalla parte di Erri De Luca, senza riserve, senza se e senza ma.

Però, nello stesso tempo, non posso firmare la mozione di solidarietà con lui in nome della libertà di espressione. E questo non per viltà o per ragioni di opportunità, ma perché dissento profondamente da come la questione è stata posta in questa mozione.

Cercherò di spiegare il perché.

Io non credo che le parole siano un insieme dove sono tutte interscambiabili e ineffettuali, non credo che ci sia una zona franca e neutra dove ogni parola possa venire astrattamente permessa e nello stesso tempo depotenziata e disinnescata in nome della libertà di opinione. Firmare una mozione posta in questi termini sarebbe per me come dire: “Che bello! Avete proprio ragione. Le parole non contano niente. Possiamo dire tutto quello che vogliamo, tanto non conta niente”. Vorrebbe dire che io sono d’accordo sul fatto che le parole non hanno peso, che non vanno prese sul serio, vorrebbe dire che accetto la dimensione vuota in cui si vorrebbero collocare le persone che si esprimono anche attraverso parole, e questo non posso farlo, come uomo e come scrittore.

Inoltre, a firmare questa mozione -cui vedo stanno aderendo noti scrittori, capi di stato e altri paladini di questa idea di libertà- mi sentirei un ipocrita, perché io non sono affatto sicuro di poter essere sempre e comunque solidale con chi esprime determinate opinioni, e questo in nome della sola e astratta libertà di espressione. Se, per esempio, domani qualcuno sostenesse -in un suo libro, in un’intervista o in qualsiasi altro modo- che bisogna schedare e bruciare le case e i negozi degli ebrei, oppure incendiare i campi rom o radere al suolo la Cappella Sistina, io certo non firmerei una mozione in sua difesa. Perciò mi sentirei un ipocrita a firmare oggi una mozione posta in questi stessi termini e che poggia sulle stesse astratte motivazioni. Né credo che questa contraddizione si possa aggirare con una capriola dialettica, come altri fanno, mettendomi cioè al riparo da questo rischio stabilendo a priori ciò che non rientra in questo campo di possibilità, come ad esempio le ideologie totalitarie di destra, negatrici di libertà.

E poi, oltre a tutto questo, mi domando anche perché questa libertà dovrebbe essere privilegio di uno scrittore più che di qualsiasi altra persona. Questo spazio sostanzialmente infantile e deresponsabilizzato concesso agli scrittori è qualcosa che infantilizza e deresponsabilizza anche le loro stesse parole. Si mostra di concedere loro qualche lusso in più, ma al prezzo di rendere depotenziate, ineffettuali e inerti le loro parole.

Strana cosa questo destino che, in nome della “tolleranza” (grande mito delle nostre società avanzate, che bisognerebbe prendere a scatola chiusa e senza vederne i risvolti), si vorrebbe riservare alle parole degli scrittori o di chiunque ne faccia un uso mediatico pubblico. Infatti, mentre in ogni altro campo si attribuisce un potere effettuale e vincolante alle parole (in un documento di matrimonio o divorzio, in un rogito, in un testamento ecc…), in quello che riguarda invece il cosiddetto discorso pubblico e in particolare nelle cose dette da uno scrittore o da chiunque sia visto come accreditato a esprimere opinioni le si riduce appunto a “opinioni”, le si fa rientrare nella dimensione ineffettuale, insiemistica e deresponsabilizzante della “libertà di opinione e di espressione”. E allora è concesso tutto, è concesso tutto perché è stato tolto tutto.

Certo, questo può sembrare un passo in avanti rispetto a ciò che succede nei regimi totalitari, siano essi di natura politica o religiosa. Basti pensare a quanto hanno sofferto scrittori e poeti nell’Unione Sovietica di Stalin (chiusi nei lager e condotti a morte da un regime che prendeva maledettamente sul serio le loro parole), o altri più vicini a noi, costretti a vivere nascosti perché minacciati di morte e/o sottoposti a mostruosi editti religiosi e fatwe, quando non massacrati da feroci giudici-boia, come è successo poco fa in Francia ai vignettisti di Charlie Hebdo. Però, se guardiamo a fondo, non è anche questo un altro modo (umanamente preferibile, certo) di togliere peso e forza alle parole, di rendere interscambiabile e gratuito ciò che dicono non prendendolo sul serio, di impedire la loro effettualità e il contagio che ne può derivare? E anche, allargando il campo, non è un altro modo di rendere neutra, ineffettuale e depotenziata l’intera letteratura?

Io sono particolarmente sensibile a questo, e lo sono non solo per ragioni di principio ma anche perché l’ho vissuto sulla mia pelle. Mi è capitato infatti, dopo i vent’anni, di venire incarcerato per un reato cosiddetto d’opinione, perché avrei cioè vilipeso l’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone durante un comizio tenuto in un paese dell’Oltrepo Pavese. Per questo reato sono stato arrestato, portato via in manette e poi con i ferri ai polsi tra due carabinieri armati di mitra, ho visitato un paio di prigioni dove sono stato sottoposto a ispezione rettale e dove ho passato diversi giorni in isolamento in una cella sotto terra con paglione e bugliolo, sono stato poi scarcerato per gravi errori contenuti nel documento di carcerazione, processato a piede libero e condannato a un anno e due mesi.

Perciò lo so bene: il reato di opinione è una cosa grottesca e orribile. Ma non è altrettanto grottesco e orribile depotenziare le parole e le convinzioni dei viventi, ridurle a scatole vuote, non entrare mai nel merito delle parole stesse, che possono essere molto diverse le une dalle altre e meritare diversa riflessione e ascolto, invece che essere collocate nella categoria insiemistica della libertà di opinione in cui è concesso tutto perché è stato sottratto tutto alla radice? Se io domani dovessi venire processato o condannato per un reato di questa natura, mi piacerebbe certo sentire la vicinanza e l’amore delle persone libere ma, a torto o a ragione, non me la sentirei di chiedere a nessuno la solidarietà in nome di un principio che nega l’urgenza, la necessità e la verità delle stesse parole che ho pronunciato o scritto.

Per tutto questo e per altro ancora sto con Erri De Luca, ma non sto con una generica libertà di espressione e di opinione che toglie ogni verità, responsabilità e forza a espressioni e opinioni.

Antonio Moresco

Fonte: www.ilprimoamore.com/

Link: http://www.ilprimoamore.com/blogNEW/blogDATA/spip.php?article3383

23.09.215

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